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Alimentazione

Etichette e pubblicità: sai che cosa mangi?

22/06/2010

Etichette e pubblicità ingannevole mettono spesso in difficoltà il consumatore, che non conosce gli alimenti che mette in tavola.

L’Unione europea intende dettare regole più rigide sulla pubblicità degli alimenti e potrebbe fare “vittime illustri” come la Nutella. Intanto a Torino è stata sequestrata una partita di mozzarelle tinte di blu. La verità è che gli italiani spesso non sanno da dove vengono i prodotti che acquistano né cosa contengono. L’opinione di Manuela Pastore, dietista di Humanitas, e di Emanuele Piccari, dell’Unione nazionale consumatori.

“Non punterei il dito contro la pubblicità, che è fatta apposta per vendere e perciò utilizza argomenti attraenti – sottolinea la dott.ssa Pastore -. Non sono neppure favorevole a condannare in modo fanatico alcuni cibi poco sani e a pretendere di stabilire un confine netto tra ‘alimenti buoni’ e ‘alimenti cattivi’. Si tratta di categorie teoriche, che non trovano riscontro nel concreto. Contano le abitudini alimentari nel complesso che presuppongono scelte oculate nel quotidiano. Nulla di male se un individuo sano ogni tanto cade in tentazione e si concede un alimento o un prodotto sfizioso anche se ricco di grassi o zuccheri, purché sia in grado di limitare quantità e frequenza. Piuttosto davanti ai messaggi commerciali occorre avere sempre una buona dose di senso critico e attenzione. Gli adulti poi devono sempre fare da filtro ai desideri dei bambini, che vengono quotidianamente bombardati da proposte allettanti ma non sempre corrette dal punto di vista nutrizionale”.
La dietista fa infatti notare quanto siano numerosi i prodotti esaltati dalla televisione per le presunte proprietà nutrizionali e che invece contengono importanti quantità di coloranti, zuccheri, grassi e ben poche tracce della materia prima da cui magari prendono il nome. “Per capirlo, basta fare un confronto tra il messaggio pubblicitario e la lista degli ingredienti”, continua la dott.ssa Pastore. Quindi il migliore alleato del consumatore sono le etichette? “Fino a un certo punto – conclude la specialista -. Etichette nutrizionali e liste degli ingredienti non sempre sono chiare e complete, bisogna anche saperle leggere e interpretare. Molti cercano come prima cosa il dato sulle calorie, ma trascurano la percentuale di grassi (che tra l’altro vengono indicati in modo generico, senza specificarne l’origine), coloranti, conservanti, additivi. Più dell’etichetta contano l’educazione alimentare e l’uso che viene fatto di un alimento”.

È d’accordo sull’importanza dell’informazione e dell’educazione alimentare anche Emanuele Piccari, responsabile del settore alimentare e portavoce dell’Unione nazionale consumatori. “I cibi che possono far male o che non sono propriamente sani sono molti, la questione è complessa – spiega -. Uno dei punti cruciali è quella della dicitura ‘oli (o grassi) vegetali’ sulle etichette. Spesso infatti si tratta di oli tropicali, di cocco o di palma, che sono riconosciuti come potenzialmente dannosi perché fanno aumentare il colesterolo e possono compromettere le arterie. Nonostante questo, i produttori non sono obbligati a segnalarli nell’etichetta”.
Anche la proposta dell’Ue di puntare sulle cosiddette “etichette salutistiche” e di mettere una sorta di “bollino rosso” sui cibi meno sani si rivela difficile da realizzare. “Non c’è dubbio, ad esempio, che i formaggi siano ricchi di calcio e che il calcio faccia bene – continua l’esperto -, ma sono ricchi anche di grassi saturi, che invece possono far male. E allora quale etichetta dovrei usare per i latticini? I consumatori dovrebbero conoscere gli alimenti al di là delle etichette, dovrebbero cioè avere una maggiore formazione nutrizionale”. Piccari conclude sulle controversie legate alla tracciabilità dei cibi: “La gente avrebbe il diritto di sapere da dove viene un alimento – sottolinea -, se è italiano o da quale alto Paese proviene, da quale parte del mondo arrivano gli ingredienti usati per prepararlo. In realtà questo non è possibile. I consumatori sanno ben poco dell’origine degli alimenti, i produttori non sono tenuti a indicarla. Ben diversa è la tracciabiltà, cioè la registrazione dei vari passaggi, da operatore a operatore. Che però riguarda i produttori e non è obbligatoriamente comunicata a chi acquista”.

A cura di Cristina Bassi

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