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Benessere

Le cure e i rimedi contro il mal di testa

09/01/2004

Il “mal di testa” rappresenta uno dei più frequenti motivi di consultazione del medico di famiglia e costituisce un disturbo spesso invalidante, che causa ad esempio la perdita di giorni di lavoro e diminuisce la qualità della vita. Iniziamo oggi un viaggio alla scoperta della cefalea, per cercare di capire quali sono i passi necessari da effettuare per diagnosticare correttamente il mal di testa, curarlo e prevenirlo. Ne parliamo con la dottoressa Paola Merlo.

Le cause scatenanti

“L’approccio terapeutico al paziente che soffre di emicrania – spiega la dottoressa Merlo – deve individuare i fattori scatenanti e/o aggravanti gli attacchi, considerare l’adozione di alcune misure precauzionali (corretta igiene di vita, comportamenti da evitare) e identificare un’idonea terapia sintomatica e/o di profilassi. Non devono essere tralasciate alcune condizioni patologiche che possono essere frequentemente associate all’emicrania: ad esempio disordini cerebro-cardio-vascolari, disturbi psichiatrici, fenomeni allergici e disturbi funzionali del tratto gastroenterico.
Gli attacchi insorgono più frequentemente durante un periodo di stress, durante il relax dei giorni festivi (emicrania del week-end) o che segue una prova impegnativa. Nella donna la cefalea è spesso correlata col flusso mestruale (emicrania catameniale) e regredisce durante la gravidanza. Anche alcuni cibi contenenti amine simpatico-mimetiche (cioccolato, formaggi stagionati, frutta secca) e l’alcool possono scatenare un attacco. Dannosi possono essere, inoltre, il digiuno, l’esposizione al sole, la carenza o l’eccesso di sonno, le variazioni atmosferiche, l’altitudine e l’assunzione di estro-progestinici, nitroderivati e calcioantagonisti. Una familiarità positiva per l’emicrania è segnalata nel 60-70% dei casi”.
In sintesi, quindi, sono coinvolti fattori psicologici (emozioni, stress, rilassamento dopo un periodo stressante), ormonali (mestruazioni, ovulazione), alimentari (cibi e bevande contenenti nitrati, glutammato, tiramina), ambientali (variazioni climatiche, esposizione al sole o a luce intensa, rumore) o, più in generale, la privazione o l’eccesso di sonno, l’ipoglicemia, la febbre, il fumo eccetera, possono rappresentare veri e propri “trigger” dell’attacco emicranico.
Un tempestivo inquadramento clinico risulta pertanto di fondamentale importanza, soprattutto in considerazione del fatto che solo il 50% di coloro che soffrono di emicrania si rivolge all’attenzione del medico curante e un quarto di essi ricorre ancora all’automedicazione (meno del 40% degli emicranici è in regolare trattamento)”.

Il trattamento sintomatico

“Rapidità di azione, efficacia sui sintomi principali, semplicità e flessibilità del dosaggio oltre a una buona tollerabilità, rappresentano le caratteristiche ideali per un farmaco antiemicranico – sottolinea la dottoressa Merlo.
Le principali categorie di farmaci disponibili per il trattamento dell’emicrania sono rappresentate dagli agenti serotoninergici (triptani), dagli ergot-derivati, dagli antiinfiammatori non steroidei (FANS) e dagli antiemetici. In generale si fa riferimento a farmaci cosiddetti “specifici” (come i triptani) che agiscono selettivamente sul dolore emicranico e a farmaci “aspecifici” (analgesici, FANS, antiemetici) che agiscono sul dolore di altra origine”.

Il trattamento preventivo

“In presenza di più di due crisi emicraniche al mese, parzialmente o totalmente disabilitanti, della durata complessiva di almeno quattro giorni, è indicato impostare un trattamento preventivo o di profilassi – suggerisce la dottoressa Merlo – Questo trattamento va effettuato a cicli di 3-4 mesi con intervalli di almeno un mese tra un ciclo e l’altro, optando preferibilmente per la monoterapia, evitando quindi di ricorrere a farmaci diversi.
Farmaci come metisergide e pizotifene, in passato considerati di prima scelta, sono stati progressivamente abbandonati a favore di molecole quali i calcio-antagonisti (nimodipina, verapamile, nifedipina, flunarizina, cinnarizina), i beta-bloccanti (propranololo, atenololo, metoprololo, timololo) e farmaci della categoria degli antidepressivi triciclici (amitriptilina). Farmaci di seconda scelta sono rappresentati dagli agonisti adrenergici di tipo alfa (clonidina, diidroergotamina), dai precursori della serotonina (5-idrossitriptofano) e da farmaci anticomiziali, che agiscono sulla trasmissione GABA-ergica, quali sodio valproato, gabapentin, vigabatrin”.

Il trattamento non farmacologico

“Le metodiche non farmacologiche – conclude la dottoressa Merlo – comprendono gli interventi mirati all’eliminazione dei fattori aggravanti, la terapia psicologica e comportamentale e alcune tecniche non convenzionali.
E’ particolarmente indicato stimolare il paziente ad analizzare il proprio stile di vita e indirizzarlo a introdurre nelle proprie abitudini situazioni ed elementi alternativi all’abituale routine.
Le tecniche non convenzionali includono la terapia fisica, l’autopressione, il trattamento chiropratico, la terapia termica, la stimolazione elettrica transcutanea (TENS), l’agopuntura e l’ipnosi.
Nella scelta del trattamento non farmacologico occorre tuttavia ricordare che, mentre l’agopuntura, la TENS e i trattamenti manuali non richiedono partecipazione attiva da parte del paziente, sono invece necessari, per il buon esito dei trattamenti di tipo psicoterapico e di biofeedback, un buon livello di scolarizzazione del paziente, una età non avanzata e un’adeguata motivazione”.

A cura di Elena Villa

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