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Prevenzione

Tumore al seno, l’esercizio fisico protegge il cuore dalle terapie?

03/05/2017

Il trattamento per il tumore al seno potrebbe avere meno effetti collaterali sul cuore grazie all’attività fisica. Una donna che, prima della diagnosi, abbia svolto un costante esercizio fisico avrebbe meno probabilità di andare incontro a un evento cardiovascolare avverso rispetto a pazienti più sedentarie. Cinque ore di esercizio fisico moderato a settimana proteggerebbero dunque il cuore delle donne in terapia oncologica per carcinoma mammario. Ne parliamo con la dottoressa Angelica Della Valle, senologa di Humanitas.

Di tumore al seno, attività fisica e rischio cardiovascolare si è parlato all’ultimo congresso dell’American College of Cardiology con la presentazione di uno studio realizzato da una ricercatrice della Rush University (Stati Uniti). Da un precedente studio condotto dal National Institutes of Health americano tra il 1991 e il 2006, sono stati presi in esame i dati relativi a poco più di 4mila donne con una diagnosi di carcinoma mammario non metastatico. Le donne avevano periodicamente risposto a dei questionari per definire i loro livelli di attività fisica. In base alle risposte sono state raggruppate in quattro gruppi che tenevano conto della quantità e dell’intensità di esercizio fisico svolto a settimana: basso, intermedio, moderato e alto.

Un nuovo beneficio dall’attività fisica?

Le pazienti sono state seguite in media per 12 anni. Dopo aver corretto i dati per età, è emerso che le donne degli ultimi tre gruppi avevano rispettivamente il 23%, 25% e 41% di probabilità in meno di soffrire di scompenso cardiaco, infarto, ictus o attacco ischemico transitorio, di aterosclerosi a carico di carotide o arterie periferiche, di subire un intervento di angioplastica o bypass e di decesso per evento cardiovascolare.

(Per approfondire leggi qui: Tumore seno, l’esercizio fisico contro gli effetti collaterali delle terapie)

Ancora, sempre gli stessi tre gruppi avevano rispettivamente il 41%, 55% e 60% di probabilità in meno di insorgenza di malattia coronarica. Queste tendenze erano trasversali a tutti i tipi di trattamento dopo aver corretto i dati per i fattori di rischio cardiovascolare e condizioni di salute delle pazienti. A beneficiare di più erano naturalmente le donne dell’ultimo gruppo, che avevano riferito un livello di attività fisica equivalente a cinque ore a settimana.

«Questo studio presenta qualche limite – spiega la dottoressa Della Valle – in parte dovuto alla valutazione dei dati raccolti tramite compilazione di questionari e non sull’effettiva attività fisica svolta. Tuttavia fornisce spunti interessanti per attribuire un ulteriore beneficio all’attività fisica, da sempre considerata un elemento essenziale per il mantenimento e raggiungimento di uno stato di salute globale».

Ma perché alle terapie oncologiche per tumore al seno è associato un maggior rischio cardiovascolare?

«Diverse terapie per la cura del tumore della mammella sono cardiotossiche e vanno ad incrementare il rischio cardiovascolare. Tra i chemioterapici le antracicline presentano cardiotossicità causando un danno miocardico irreversibile per un meccanismo che stimola la produzione di radicali liberi. La cardiotossicità potenziale delle antracicline è aumentata con l’associazione degli anticorpi monoclonali quali il trastuzumab. Circa un terzo dei pazienti trattati con trastuzumab potrebbe sviluppare cardiomiopatia dilatativa», risponde la dottoressa Della Valle.

«La radioterapia, in special modo tecniche che si usavano nel passato, può essere causa anch’essa di danno cardiaco: il meccanismo è analogo a quello che avviene nelle placche ateromasiche, si verifica una ridotta perfusione locale progressiva, trombosi micro-vascolare ed ischemia con un quadro infiammatorio che può persistere per anni favorendo l’insorgere di problemi valvolari, placche ateromasiche ed aritmie».

(Per approfondire leggi qui: Tumore seno, rischio sale con una dieta ricca di grassi in adolescenza?)

«Per quanto riguarda la terapia ormonale – continua – diversi studi hanno evidenziato un trend verso una maggiore incidenza di tossicità cardiovascolare degli inibitori dell’aromatasi rispetto al tamoxifene che, avendo un impatto favorevole sul profilo lipidico, ha un effetto cardioprotettivo. Le cause di questa possibile aumentata tossicità cardiovascolare degli inibitori dell’aromatasi non sono chiare. È stato ipotizzato che sia la conseguenza di un’alterazione del metabolismo lipidico. Il rischio cardiovascolare rimane aumentato per anni perché le cellule cardiache hanno una limitata capacità di rigenerarsi», conclude la dottoressa.

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