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Doping, internet e genetica sotto accusa

21/06/2004

Medici di Humanitas e appassionati di sport, spiazzati di fronte al fenomeno doping che dilaga non solo tra gli sportivi professionisti, ma anche tra gli amatori e i frequentatori delle palestre, il dottor Michele Lagioia, vice direttore sanitario, e il dottor Massimo Tanzi, medico dello sport dell’èquipe di Riabilitazione e Recupero Funzionale dell’Unità Operativa diretta dal dottor Panella, fanno per noi il punto su questa piaga che affligge il mondo dello sport e che con molto impegno potrebbe forse essere debellata.

Doping: un inquietante “fatto sociale”
“Negli ultimi anni il fenomeno doping si è trasformato in qualcosa che va oltre i confini dello sport professionistico, coinvolgendo centinaia di sportivi amatoriali e frequentatori di palestre, disposti a tutto per ottenere prestazioni migliori o per avere un fisico perfetto, magro, muscoloso, senza fatica e in tempi brevi. Integratori alimentari e farmaci utilizzati con leggerezza, molto spesso con scopi puramente estetici, senza controllo medico. I fatti di cronaca che riportano di indagini tra i professionisti, quindi, non sono che la punta dell’iceberg di questo fenomeno che investe molte, troppe persone, non solo in ambito sportivo. Per non parlare, poi, dell’inquietante futuro che potrebbe assumere il fenomeno: il doping “genetico”, l’alterazione di alcuni tratti del genoma per creare in laboratorio atleti con caratteristiche specifiche (atleti sempre più veloci, sempre più resistenti, più alti, più forti…). Sarà sempre più difficile regolare un campo che presenta una tale crescita, pari a quella dell’innovazione scientifica”.

Allarmanti anomalie nel sistema di controllo
“Sempre negli ultimi anni, i canali a cui attingere per procurarsi sostanze dopanti sono facilmente accessibili via Internet, dove si possono acquistare molti prodotti illeciti, in modo anonimo, senza nessun tipo di controllo, anche sulla qualità del prodotto stesso. Un fenomeno allarmante, dunque, che denota preoccupanti anomalie nel sistema di controllo del doping. Se è vero, infatti, che la legge antidoping, che prende a modello una legge statunitense – che risale ad a una decina di anni fa -, è una legge ben fatta, può tuttavia poco o nulla nel controllare e contrastare la diffusione del fenomeno stesso nel “mondo virtuale”. Le sentenze che interpretano la legge antidoping, poi, lasciano spazio a una certa perplessità, perché ad esempio una recente sentenza della Corte di Cassazione parrebbe depenalizzare l’uso del doping per fini estetici, interpretazione che rappresenta una via di fuga preoccupante, che lascia spazio a pericolose eccezioni. Perché non dovrebbero esserci eccezioni, in nessun senso. L’utilizzo, la prescrizione e la diffusione di sostanze dopanti dovrebbero essere punite sempre e comunque, indipendentemente dal fine”.

Possibili ambiti di miglioramento
“E’ importante notare che ancora non esistono ricerche scientifiche con dati statisticamente documentati sugli effetti delle sostanze dopanti. Va anche detto che la ricerca finalizzata a mettere a punto nuove sostanze dopanti è sempre un passo avanti rispetto a chi combatte il doping; inoltre con l’utilizzo di farmaci dopanti sempre più sofisticati diventa sempre più difficile la loro individuazione attraverso i test antidoping. Quella al doping è dunque una battaglia molto difficile da combattere, ma si potrebbe forse partire da un attento monitoraggio dei giovani sportivi, con l’utilizzo di cartelle cliniche che l’atleta porta con sé durante tutta la carriera, come è stato ad esempio applicato dalla Federazione Ciclistica: le caratteristiche dell’atleta da giovane vengono così documentate (ad esempio, un eventuale alto livello di ematocrito viene evidenziato fin dai 15-16 anni e non può quindi comparire all’improvviso).
Per provare a sconfiggere questa malattia mortale per lo sport andrebbero destinate maggiori risorse per fare informazione, per sostenere lo “sport sano” e preservarlo dalle pressioni dei risultati a tutti i costi.
Deve poi esserci, senza scappatoie, la negazione di ogni prospettiva di professione sportiva per chi viene trovato a fare uso di farmaci dopanti. Abbiamo detto che la legge antidoping è una legge valida. Il regolamento CIO prevede una squalifica più o meno lunga per la prima infrazione e la squalifica a vita in caso di comportamento recidivo. Non è certo una punizione di poco conto, ma quanti atleti radiati si conoscono?
E infine, anche i mass media possono fare la loro parte, ad esempio potrebbe essere migliorata l’informazione sulla fine che hanno fatto certi atleti ritiratisi dalla carriera: poco si dice di molti di loro e di quanto possano essere stati rovinati dall’eventuale uso di farmaci dopanti. Anche in questo ambito, “il caso Pantani” non è che la punta dell’iceberg di un fenomeno certamente molto diffuso in tanti sport. E poi potrebbero non dare più lo spazio che danno attualmente ad atleti “troppo muscolosi per essere veri” o a modelle “troppo magre per essere vere”.
E anche gli sponsor potrebbero iniziare a dare il loro appoggio solo ad atleti che si sono sempre comportati correttamente, che non sono mai stati sfiorati dall’ombra del sospetto”.
In questo modo, forse, la guerra al doping potrebbe essere vinta.

A cura di Elena Villa

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