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Cure e farmaci

Risposta immunitaria da vaccino HIV, ora test su 2300 persone

22/08/2018

Un vaccino costruito a “mosaico”, costruito con frammenti diversi di alcuni ceppi di virus provenienti da diverse parti del mondo in modo da renderlo adatto a tutto. E’ la sfida contro l’HIV lanciata dalla Harvard Medical School i cui resoconto è stato pubblicato su Lancet. Ora lo studio per testare il nuovo vaccino proseguirà con una sperimentazione su larga scala in Africa ma il nuovo farmaco sperimentale ha già suscitato una risposta immunitaria promettente in un gruppo di persone sane e su alcune scimmie affette dall’equivalente virus animale dell’AIDS. Ne parliamo con il prof. Domenico Mavilio, immunologo responsabile dell’Unità di Immunologia Clinica e Sperimentale in Humanitas e docente presso l’Università Statale degli Studi di Milano.

 

Verso un vaccino universale

I ricercatori della Harvard Medical School hanno testato il vaccino su circa 400 persone sulle quali, oltre a risultare privo di effetti collaterali rilevanti, il farmaco sperimentale ha già mostrato la capacità di stimolare una risposta immunitaria. Contemporaneamente un test su alcune scimmie esposte all’equivalente dell’HIV ha mostrato un minor rischio di infezione del 64%. I risultati sono così promettenti che ora il vaccino verrà testato su 2300 persone in diversi paesi dell’Africa subsahariana ad alto rischio di contagio al fine di verificare l’efficacia, arrivando ad una fase della sperimentazione che finora hanno raggiunto solo altri cinque vaccini.

 

Il parere di Humanitas

“La ricerca di un vaccino contro l’infezione da HIV-1 rappresenta oramai da oltre due decenni una delle sfide più difficili della moderna medicina con risultati che sino ad ora sono stati estremamente deludenti – ha commentato Mavilio -. Ad oggi, infatti, nessun vaccino è riuscito ad assicurare una protezione accettabile contro l’infezione da HIV-1 proprio perché’ nessuna strategia sperimentale messa in atto dai ricercatori di ogni parte del mondo induce una soddisfacente risposta immunitaria contro il virus. Cosi come quest’ultimo studio sperimentale effettuato ad Harvard, molte volte in passato abbiamo assistito ad una sperimentazione pre-clinica che dava molte speranze di protezione sia in vitro che in modelli animali. Una protezione del 64%, seppur considerata molto bassa per i comuni vaccini contro altre infezioni virali che normalmente assicurano un’efficacia ben superiore al 90%, viene considerata un risultato quasi strabiliante per l’infezione da HIV-1. Proprio perché la migliore protezione che siamo riusciti ad avere nell’uomo supera di poco il 30 % (RV144 Thai Trial)”.

“Allo stato attuale quindi – ha proseguito il professore -, non esiste alcun vaccino preventivo e tanto meno terapeutico che possa prevenire o bloccare l’infezione. Questo studio sui primati recentemente pubblicato su Lancet è molto promettente ed ha delle innovazioni importati, ma dobbiamo certamente aspettare prima di fare considerazioni sulla sua reale efficacia sull’uomo. La sperimentazione clinica attualmente in allestimento ci fornirà queste riposte nei prossimi anni”.

 

HIV: a che punto è la ricerca?

“L’infezione da HIV-1 a tutt’oggi una malattia incurabile – ha affermato lo specialista -. Ci sono ad oggi molti studi in corso per lo sviluppo di nuove terapie che, se efficaci su modelli animali, vedranno la luce e saranno disponibili per tutti in un periodo medio-lungo. Questi studi hanno diversi approcci sperimentali, dalla sintesi di nuove molecole antivirali alla creazione di farmaci che stimolano il sistema immunitario, dall’isolare o generare anticorpi neutralizzanti il virus alla creazione di strategie vaccinali e così via. Un lavoro che richiede molte risorse economiche ed investimenti a medio-lungo termine e che si concentra solo in alcuni paesi come gli Stati Uniti. Il principio base che tutti dovremmo sapere e che rende questo rebus della ricerca di una cura così complicato consiste nel fatto che, una volta contratta l’infezione, non riusciamo più a liberarci del virus che infetta e danneggia in modo irreversibile moltissimi organi nostro corpo (sistema immunitario, sistema nervoso, reni e così via). Sino a quando non si riesce a stanarlo ed a sconfiggerlo in modo definitivo, i nostri maggiori sforzi devono orientarsi a fare di tutto per non contrarre l’infezione”.

 

Quali sono le aspettative di vita per chi oggi si ammala di questo virus?

“L’attuale terapia antiretrovirale è efficace nel bloccare la replicazione del virus e la sua diffusione – ha proseguito Mavilio -, mettendolo a “dormire” in una cosiddetta fase di latenza ed arrestando la progressione della malattia. Questo richiede l’assunzione di almeno tre diversi farmaci più volte al giorno e per tutta la vita. Non appena si smette l’assunzione anche per un solo giorno, il virus si risveglia e ricomincia ad attaccarci in modo ancora più aggressivo perché impara ad essere resistente alla terapia. Senza considerare l’enorme impatto della tossicità e gli effetti collaterali di questa terapia che certamente modifica in peggio la qualità di vita del paziente”. “L’unica vera arma che abbiamo in mano oggi è la prevenzione. Dall’Aids ci si salva se non lo si contrae – specifica il Prof. Mavilio -. Questo è il messaggio che deve essere trasferito ai giovani. I nostri ragazzi devono sapere che non esiste, ad oggi, una cura certa contro l’AIDS. Rapporti protetti o con partner sicuri sono fondamentali. Infatti, uno degli aspetti più preoccupanti che favoriscono nuove infezioni è che molti non sanno di essere infetti e, a loro insaputa, trasmettono l’infezione a partner sieronegativi. Il tutto deriva da una scarsa conoscenza del problema soprattutto tra le generazioni più giovani, cioè tra i liceali e tra coloro che per la prima volta vengono a contatto con la sfera sessuale. La categoria infatti con pui alta incidenza di nuove infezioni nel mondo occidentale è proprio quella dei giovani eterosessuali. E le congiunture negative della nostra economia con nuoce sacche di povertà nella nostra società’ stanno purtroppo facendo riemergere nei paesi occidentali altri rischi di infezione come l’uso di siringhe infette. Troppo spesso nei nostri ambulatori capita di dover incontrare giovani che si rendono conto troppo tardi di cosa significhi essere infettati da HIV-1 e di cosa li aspetta. Per non parlare della discriminazione causata dall’ignoranza che spesso porta ancora oggi la società moderna a discriminare chi contrae questa terribile malattia”.

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