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Olio di palma, facciamo chiarezza

13/12/2016

A riguardare la storia, la considerazione che oggi molti hanno sull’olio di palma potrebbe essere paragonata a quella che negli anni ’60-70 venne riservata all’olio di colza, oggi rivalutato per le sue proprietà benefiche. Anche allora, l’allarme scatenato dai primi studi sull’olio di colza portò addirittura a ritirare dal mercato un olio che doveva la sua cattiva reputazione al modo in cui era coltivato e raffinato perché manteneva alta la quantità di acido erucico dannoso per la salute. Per questo motivo, abbiamo chiesto ai professionisti di Humanitas di fare un po’ di chiarezza sull’olio di palma, su ciò che è reale in termini di benefici e danni in base alla valutazione delle più recenti rassegne della letteratura.

Parecchi studi hanno infatti indagato il ruolo dell’alimentazione, e in particolare dei grassi sulla nostra salute, spesso con risultati discordanti – spiega l’esperto. – In particolare per quanto riguarda i grassi saturi, ovvero i grassi provenienti da alimenti di origine animale (acidi grassi saturi) come il burro o il lardo, le carni rosse, gli insaccati e formaggi, di cui si raccomanda un’assunzione giornaliera limitata al 10% del fabbisogno calorico giornaliero. Seppur sia nota dagli anni ’50 la correlazione tra consumo alimentare di grassi di origine animale (acidi grassi saturi o SFA) ed ipercolesterolemia, cioè l’incremento nel sangue di colesterolo cattivo LDL, che una delle cause di patologie cardiovascolari nell’uomo, da qualche anno invece la lotta contro i peggiori grassi per la salute si combatte tutta nei confronti dell’olio di palma senza tenere del ruolo degli altri grassi sull’alimentazione.

  1. Grassi saturi e colesterolo LDL: il consumo di oli vegetali non idrogenati riduce LDL

La maggior causa di morte nel mondo occidentale è ancora oggi rappresentata dalla patologia cardiovascolare il cui rischio è legato a svariati fattori tra cui familiarità, fumo, vita sedentaria, diabete, ipertensione e ipercolesterolemia. Grazie a studi compiuti negli anni ’50 su soggetti Bantu, ovvero una popolazione che abita un’ampia area dell’Africa subsahariana, si è potuto dimostrare la correlazione tra grassi saturi e aumento del rischio della patologia cardiovascolare a causa dell’innalzamento dei livelli di colesterolo nel sangue. Infatti, introdotto il consumo di burro, lardo, uova e carni rosse nella dieta dei Bantu che essenzialmente era di tipo vegetale, si incrementava il livello ematico di colesterolo LDL. Viceversa il consumo di oli vegetali ad alto contenuto di acidi grassi insaturi come olio di semi, d’oliva, di arachidi riduceva il livello di colesterolemia. Inoltre l’associazione di oli di semi alla dieta ricca di grassi saturi con burro, carni rosse, lardo, eccetera riduceva il livello di colesterolo se gli oli di semi non erano idrogenati ovvero assunti nella forma di margarina.

  1. Grassi PUFA (omega3 e 6) proteggono dalle malattie cardiovascolari

Un ulteriore passo avanti venne fatto nel 2003 con l’indicazione dal parte dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Salute) delle raccomandazioni per una dieta corretta che, per i grassi (lipidi) consiglia un consumo calorico quotidiano tra il 15 e il 30% di cui meno del 10% in grassi saturi (SFA) e il 10% in oli vegetali è caratterizzato da acidi grassi polinsaturi (PUFA) di cui il rapporto tra omega 6 ed omega 3 deve essere 2:1 o 3:1 massimo. Tra gli oli vegetali quindi diventa importante la presenza di acido linolenico (ALA) che caratterizza gli omega 3 contro l’acido linoleico (LA) che invece è presente nei cosiddetti omega 6, in quanto il precedente rapporto omega6 e omega3 era molto più spostato verso i primi. Questo grazie a numerosi studi che suggerivano come un consumo elevato di omega6 potesse portare alla formazione di trombossani e leucotrieni, cioè sostanze con proprietà pro-infiammatorie e pro-trombotiche. Inoltre studi epidemiologici confermavano che sostituire i grassi saturi con carboidrati aveva una ridotta protezione cardiovascolare e che solo la cosiddetta dieta mediterranea con rapporto omega6/omega3 2:1 e ridotto consumo di grassi saturi si dimostrava significativamente protettiva sulle malattie cardiovascolari.

  1. Olio d’oliva e olio di colza insieme contro le malattie cardiovascolari.

Se nessuno mette in dubbio i benefici dell’olio d’oliva, è invece interessante sottolineare che dopo anni di condanne l’olio di colza è risalito sul podio dei grassi che combattono la malattie cardiovascolari. Infatti, l’olio di colza coltivato oggi a scopo alimentare, contiene solo lo 0,5% di acido erucico, presente anche dell’olio di fegato di merluzzo e molti altri alimenti d’uso comune, mentre è molto ricco di acidi grassi ALA. Del resto, in base ai molti dati provenienti da studi scientifici, è possibile confermare che resta valida la raccomandazione di consumare grassi con il più basso contenuto di grassi saturi e il maggior contenuto di omega3 tra cui per esempio l’olio di colza a basso tenore di acido erucico, sceso dal banco degli imputati grazie a studi che ne hanno dimostrato il beneficio sulla salute. In particolare, è noto uno studio condotto in Polonia tra popolazioni abituate a consumare grandi quantitativi di grassi saturi: la parziale sostituzione di questi grassi con olio di colza portava ad una significativa riduzione delle malattie cardiovascolari. Infatti, un cucchiaio di olio di colza a basso tenore di acido erucico contiene la quantità giornaliera raccomandata di omega3 ALA oltre ad avere un contenuto omega6/omega3 di 2:1. L’olio di colza, inoltre, rispetto ad altri oli vegetali, si mantiene stabile anche a medie temperature rendendolo ottimale anche per le cotture. A questo scopo, quindi, oltre all’olio di colza, bene anche l’olio di oliva che è ottimamente rappresentato nella dieta mediterranea insieme agli oli di semi e vegetali come l’olio di girasole, di soia, di lino, di mais.

  1. E l’olio di palma?

Per quanto riguarda l’olio di palma, si è detto già tanto. Olio ottenuto dal frutto della pianta tropicale Elaies guineensis, l’olio di palma rappresenta per i suoi bassi costi il 30% della produzione mondiale di olio con un trend in crescita nel suo utilizzo nella produzione alimentare. Rispetto agli altri oli di origine vegetale però il contenuto di acidi grassi saturi nell’olio di palma è maggiore, raggiungendo il 40-50% del totale, principalmente come acido palmitico, anche se alcuni studi suggeriscono che l’utilizzo di acido palmitico rispetto al consumo di grassi animali favorisca di meno l’innalzamento dei livelli di colesterolo LDL nel sangue e sia meno aterogenico, cioè sia meno favorente l’accumulo di grasso sotto forma di placche nelle arterie. Interessanti quindi sono i dati di una recente metanalisi, cioè una ricerca che coinvolge un numero importante di studi clinici, che è andata ad analizzare l’effetto reale del consumo di olio di palma sull’assetto lipidico, cioè sul colesterolo e trigliceridi rispetto all’assunzione di altri grassi. Rispetto all’utilizzo di altri oli di origine vegetale, il consumo di olio di palma ha portato all’innalzamento significativo del livello di colesterolo LDL nel sangue insieme a innalzamenti assai ridotti del colesterolo buono HDL. Se paragonato agli effetti del consumo di oli idrogenati, come la margarina, o di grassi saturi di origine animale, il consumo dell’olio di palma risulta lievemente protettivo nei confronti della malattia cardiovascolare perché aumenta il livello del colesterolo buono HDL ma non di LDL.

In conclusione, dal momento che l’olio di palma non è usato nella nostra cucina occidentale se non nei prodotti industriali, come per il burro o per altri grassi saturi di origine animale, anche l’olio di palma ha effetti dannosi se consumato in eccesso. Infine, per prevenire la malattia cardiovascolare dovrebbe essere preferibile consumare oli di origine vegetale ad alto contenuto di acido alfa-linoleico mantenendo il consumo di acidi grassi saturi inferiori al 10%, e la dieta mediterranea risulta ancora la migliore alimentazione per preservare la salute.

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