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Terremoto, come combattere la paura?

26/06/2012

 

 

 

 

Come si fa a gestire la paura e lo stress dopo terremoti devastanti come quelli de L’Aquila o dell’Emilia?

Alcuni rientrano nelle loro case più o meno tranquillamente. Altri non ci pensano proprio nonostante siano state dichiarate agibili. Alcuni “piantano” una tenda e vi allestiscono una tv per guardare tutti insieme gli europei di calcio. Altri non riescono neppure a pensare alle socialites. Alcuni stanno benone, altri si ammalano. Molto dipende da come si riesce a gestire la paura, un’emozione così forte legata a un evento incontrollabile: il terremoto.

Il rischio è che lo stress generato paralizzi dalle azioni e dal ragionamento facendo entrare in un circolo vizioso. E, invece, la parola d’ordine è: no panic. Già, ma come? E come uscirne? Chiediamo consiglio a Daniela Lucini, professore associato all’Università degli Studi di Milano, Responsabile di Medicina dell’esercizio e patologie funzionali in Humanitas e autrice del volume Super Stress, una guida pratica per superare la crisi senza rovinarsi la salute (Rizzoli editore).

Professoressa Lucini, cosa succede alle persone che subiscono un evento come il terremoto?
“Tutto è racchiuso già in questa parola, il ‘subire’ un evento che si ritiene di non poter controllare, proprio come avviene per calamità naturali come il terremoto. Si prova un’emozione forte, la paura, che genera conseguenze a breve e lungo termine. Nel breve, quindi non si dorme, il cuore batte forte, non si digerisce. Nel lungo periodo tutto questo può portare anche all’infarto, al non voler rientrare nelle proprie abitazioni, all’arrabbiarsi contro qualcosa o qualcuno”.

Cosa succede dal punto di vista fisico?
“In tutto questo entra in gioco il nostro cervello con tutte le sue funzioni. Inizialmente si percepiscono segni esterni (vedo e sento il terremoto), le cui informazioni arrivano non solo ai centri cerebrali deputati a riceverle (come, per esempio, il lobo occipitale per i segnali visivi), ma, soprattutto, si propagano, come le onde provocate da un sassolino buttato nello stagno, a tutte le altre zone del cervello sino alle aree responsabili ad interpretarle. Da qui nasce la consapevolezza del terremoto. Contemporaneamente queste informazioni (arricchite dal significato che la persona ha dato loro) arrivano anche alle aree che hanno la funzione di gestione delle emozioni, in particolare in una regione chiamata amigdala, che pare avere un ruolo determinante nell’insorgenza e riconoscimento della paura. In pratica, ogni volta che il dato arriva in un centro, viene rimbalzato come una pallina da flipper in altri centri e, contemporaneamente, viene interpretato e arricchito di emotività sino a giungere ad aree il cui compito è quello di coordinare l’azione del sistema nervoso autonomo, che è una specie di ‘pilota automatico’ che controlla la funzionalità dei nostri organi (cuore, polmoni, stomaco, eccetera) e da loro riceve informazioni. Ecco, quindi, che al riconoscimento del terremoto e all’angoscia insorta, si associano anche sintomi fisici quali la sensazione di cuore che batte forte, stomaco che si stringe, eccetera”.

Queste persone si ammalano per stress?
“Dalla paura nasce un sintomo e a volte anche una malattia. Questo può accadere quando il terrore fa traboccare un vaso già colmo di altri due fattori determinanti: quello genetico, di predisposizione a una patologia come, per esempio, l’infarto, e lo stile di vita, per cui se si è sovrappeso o si fuma il rischio cardiovascolare aumenta. In pratica, la paura attiva eccessivamente il sistema nervoso autonomo, che mette in atto una reazione che, associata a una predisposizione genetica e a un cattivo stile di vita, può portare all’infarto. In altre persone può causare problemi digestivi o mal di testa. Ogni patologia associata è individuale. La risposta alla domanda iniziale, quindi, è sì, il terremoto e la paura correlata possono far ammalare, specie se vi sono fattori genetici che predispongono ad una determinata patologia e uno stile di vita non salutare”.

Come si può gestire questo stress?
“Si deve cercare di riprendere il controllo della situazione, anche se di fronte a un terremoto non è semplice. Ma neppure pensare sia impossibile. Si deve provare ad agire per quel che si può, in modo da non rimanere paralizzati. E non ci si deve far prendere dal panico e perdere la capacità di ragionamento. Prima di tutto cercare di capire che si è spaventati e non si sa cosa fare (ed è normale), riconoscere il terrore e la rabbia che si provano per cercare di non farsi travolgere e fare un esame della realtà e delle risorse a disposizione con tutti i limiti. Sicuramente non si può fronteggiare il terremoto, ma prendere atto che la propria casa è danneggiata, che non ci si vuole entrare per paura o perché inagibile e, quindi, attivarsi per chiedere i controlli e, nel frattempo, andare dalla zia che abita in un’altra città per riprendere tranquillità. Cercare di non pensare sempre in negativo, come porta a fare l’angoscia, ma al positivo (per esempio, l’ultima scossa è stata debole e si verificano sempre meno). A poco a poco si riprende fiducia e rinasce la speranza, passo dopo passo si riesce a ragionare meglio e ad aprirsi per tornare alla normalità in modo che anche il terremoto incredibilmente faccia meno paura e non porti ad ammalarsi”.

E quando le scosse ritornano?
“Non ci si deve scoraggiare, è normale che anche la paura ritorni e si deve ricominciare il percorso. In questi casi bastano anche solo pochissimi segni simili a quelli precedentemente associati al terremoto (certe volte addirittura solo il ricordo delle scosse) per scatenare il terrore e tutti i sintomi fisici correlati”.

Ma tutti abbiamo paura del terremoto…
“Sì, ma non nello stesso modo. E’ decisamente maggiore nelle persone che l’hanno provato, perchè loro ne hanno fatto vera esperienza, lo hanno subito sulla propria pelle o, meglio, potremmo dire, nel loro cervello e nel loro cuore. E’ un ricordo e una emozione che rimangono, ma che possono essere gestiti senza causare più danni di quelli che il vero terremoto ha già provocato”.

A cura di Lucrezia Zaccaria

 

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