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Epatite C, nuova luce sulle cure

30/01/2012

Il trattamento con anti virali dell’epatite C nasconde un segreto, legato alla risposta autoimmunitaria, decisivo per lo studio di nuove cure. Due recenti ricerche svelano aspetti importanti di questo complesso risvolto.

Due studi pubblicati recentemente su Antiviral Therapy e PLoS ONE gettano nuova luce sull’associazione epatite C e trattamento anti-virale. E offrono spunti per nuove prospettive di cura. Ne parliamo con Giovanni Covini, specialista in medicina generale ed epatologia in Humanitas.

Dottor Covini, di cosa trattano questi studi e perché sono così importanti?
“Partiamo da una tesi nota da tempo, e cioè che il virus dell’epatite C associato alla terapia con interferone e ribavirina può generare fenomeni autoimmuni cioè creare anticorpi diretti contro l’organismo stesso. Un effetto collaterale della terapia che, ora, è stato approfondito nei laboratori di ricerca arrivando a capire meglio i meccanismi di azione del trattamento antivirale che porteranno in futuro, se confermati, ad avere incidenza sulla cura stessa”.

Di cosa tratta l’approfondimento?
“Come abbiamo detto, il virus dell’epatite C e il trattamento antivirale di interferone e ribavirina creano auto-anticorpi che colpiscono i nostri organi. In laboratorio ora abbiamo identificato un nuovo auto-anticorpo che non era ancora stato riconosciuto e che reagisce con strutture cellulari a forma di ‘bacchette ed anelli’ (‘rods and rings’). E si è visto che i pazienti con epatite C in terapia con interferone e ribavirina che sviluppavano questo auto-anticorpo non rispondevano al trattamento antivirale. Si è, così, passati ad esperimenti in coltura cellulare dove si è dimostrato che è la ribavirina a formare nel citoplasma delle cellule questi organelli. La ribavirina, infatti, agisce su un enzima, la inosina monofosfato deidrogenasi che, naturalmente distribuita nel citoplasma, in presenza del farmaco si condensa in ‘rods and rings’. Questa variazione da un lato modifica l’effetto anti-virale della terapia e dall’altro crea auto-anticorpi diretti contro l’organismo stesso”.

E questa scoperta a cosa porta?
“Il risultato è ancora oggetto di ulteriore studio, anche da parte nostra in collaborazione con il Policlinico di Milano, ma si può affermare che è importante su tre fronti. Primo: la presenza di questi anticorpi sembra essere un fattore predittivo di non risposta dei pazienti al trattamento anti-virale. Secondo: si hanno maggiori informazioni sul meccanismo di azione della ribavirina, che ‘condensa’ un enzima che di solito è distribuito in tutto il citoplasma in questi due organelli ed è un fenomeno da approfondire perché potrebbe avere ulteriori risvolti sorprendenti. Terzo: si è evidenziato un elegante modello sperimentale di autoimmunità farmaco-indotta da tenere presente per i successivi studi immunologici”.

Ha impatto sulla clinica dal punto di vista pratico?
“Tutto questo per ora è stato provato retrospetticamente (con statistiche relative a casi passati), ma se gli studi prospettici (riguardanti casi futuri) in corso confermeranno i risultati, ci saranno sicuramente nuove prospettive di cura dell’epatite C da valutare. La presenza di questi anticorpi, infatti, potrà indicare in modo precoce una non risposta al trattamento con interferone e ribavirina, suggerendo all’epatologo la necessità di una nuova strategia terapeutica con altri antivirali”.

A cura di Lucrezia Zaccaria

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