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Gli adolescenti “sfaccettati”

22/02/2009

È la definizione che sembra meglio descrivere i giovani, difficili da capire e a volte afflitti da un disagio al limite della normalità.

Giovani dalle mille sfaccettature: così potrebbero essere definiti gli adolescenti di oggi. È, infatti, molto difficile disegnare un ritratto preciso che definisca le loro caratteristiche, così diverse tra loro. E altrettanto complicato è riconoscere i segnali di un disagio adolescenziale, sempre più diffuso, che si presenta sotto forme diverse che arrivano fino al limite della normalità. C’è il piccolo bullo violento che nasconde un desiderio di attenzione, il ragazzo che parla in “gergo adolescenziale” con continue parolacce anche quando interagisce con adulti e insegnanti per nascondere la propria timidezza, la ragazzina con disturbi alimentari che si rifiuta di crescere o quella eccessivamente precoce che si mette minigonna e tacchi altissimi. Chi sono, quindi, i giovani d’oggi e quando preoccuparsi che dietro il loro comportamento si nasconda un disagio più profondo? Ne abbiamo parlato con il dott. Andrea Jannaccone Pazzi, psicologo e psicoterapeuta in Humanitas.

Dott. Jannaccone, chi sono i giovani di oggi?
“Delineare un profilo non è semplice. Sono ragazzi che crescono in una realtà complessa, apparentemente disinibita, fortemente competitiva, dove il tessuto familiare e socioculturale ha cambiato completamente i valori di riferimento. Oggi, inoltre, tutto si fonda sulla velocità. Costanza, stabilità e fatica sono parole svuotate di significato. Il tutto in una cornice di opulenza, dove l’abitudine al surplus annulla il valore delle cose. In questo modo si mandano nel mondo ragazzi impreparati, fragili e con scarsa fiducia nelle proprie potenzialità, ma soprattutto pretenziosi di ottenere tutto e subito senza fatica. Sono ragazzi che, spesso, non accettano il fallimento, disposti a costruire un falso sé pur di ottenere riconoscimenti e accettazione nel proprio gruppo dei pari. Sono, purtroppo, noti i fatti di cronaca di suicidio per una bocciatura o per un litigio tra amici perché un ideale di perfezione, segnale di una profonda fragilità, complica ogni situazione attribuendole un valore di vitale importanza. L’adolescente, inoltre, si trova in una fase critica della propria esistenza, nella quale vuole individuarsi dai genitori e distinguersi dall’adulto in genere, alla ricerca di una identità propria cercando disperatamente ‘soluzioni’ che gli permettano questo passaggio. Le differenti vie intraprese non sono solo legate all’identità di genere, ma si fondano su delicati intrecci tra carattere del singolo ragazzo/a, stile relazionale con le figure di riferimento e contesto socioculturale”.

Come nascono, quindi, le forme di disagio adolescenziale? E quali sono le implicazioni familiari e sociali nella varie problematiche?
“Lo stile relazionale con le figure di riferimento ha enorme valore. Non è possibile tracciare un profilo educativo-relazionale adeguato o meno, ma si può considerare come la famiglia odierna sia passata da un modello orientato sui comportamenti ad uno orientato all’area dei valori affettivi, cioè si è più propensi a trasmettere amore che regole, a far obbedire il figlio per amore più che per timore. Questa trasformazione ha ridotto notevolmente il livello di tolleranza delle ferite narcisistiche dei ragazzi, quindi il travaglio adolescenziale assume una risonanza sempre più intensa incrementando il bisogno di ascolto e rispecchiamento nei contesti parafamiliari (come, per esempio, la scuola). A complicare la situazione ci sono i vari stili familiari, differenti uno dall’altro. Per esempio, un atteggiamento iperprotettivo, che non permette di compiere il cammino di crescita, spinge ad una involuzione, incrementa timori e incertezze come, viceversa, può sviluppare una modalità reattiva, aggressiva e fortemente distruttiva. Ogni situazione va analizzata singolarmente e ad un atteggiamento adolescenziale non corrisponde un genitore ‘tipo’. Inoltre, si è assistito ad un mutamento profondo delle figure di riferimento: dal padre autoritario ‘forte’, che fondava il proprio rapporto sulla minaccia e punizione, ad uno ‘debole’, spaventato dal possibile conflitto e che non si sente in grado di prendere decisioni e di punire. Questo incentiva nel giovane la disobbedienza e accresce la richiesta di autonomia, fino a spingerlo a compiere atti plateali quali, per esempio, andare male a scuola, uso di droghe, piccoli furti, senza sviluppare il minimo senso di colpa e riducendo l’agito a semplici fatti, avvenuti, ma immediatamente superati”.

Oggi si parla spesso del fenomeno del bullismo: chi sono i bulli?
“Il bullismo è un atteggiamento d’arroganza e spavalderia che riguarda gli adolescenti, ma che, in età adulta, può assumere la forma di mobbing sul lavoro. L’adolescente affronta e risolve le proprie conflittualità attraverso i gesti, l’azione, ma, incapace di predirne le conseguenze, spesso si trova implicato in situazioni pericolose e violente. Non si tratta di fenomeni di pseudo-violenza svolti da gruppi di ragazzi annoiati, ma di una reale forma di devianza sociale. I ragazzi, di fronte ad episodi della loro vita che li mettono a confronto con la propria fragilità, reagiscono mediante l’espulsione dell’aggressività stessa con azioni violente nella logica del ‘dover sottomettere per farsi rispettare’ e oppongono alla debolezza paterna un modello maschile onnipotente nei confronti degli altri maschi e protettivo/possessivo con le femmine. Ma esistono anche situazioni nelle quali la violenza domina la scena familiare come nei contesti socio-culturali violenti (i sobborghi metropolitani), famiglie violente o dove lo stile educativo si fonda sul sopruso. A livello più generale si può considerare come l’adolescente, alla ricerca di un riconoscimento paterno di acquisizione dei diritti del maschio adulto, non trovandola nella propria famiglia, lo ricerchi nel gruppo dei pari. È qui che viene sostituita e delegittimata la funzione dell’adulto producendo violenza e sopruso. Per questo sono numerosi i racconti nei quali i fenomeni di bullismo avvengono in presenza del proprio gruppo di appartenenza, quasi a ricevere una sorta di approvazione”.

Quali sono i possibili interventi?
“Non è facile intervenire. Inasprire le punizioni o colpevolizzare i ragazzi delle proprie azioni non sembra uno strumento molto efficace. Ovviamente, a seconda del ruolo sociale, le risposte saranno differenti: il poliziotto spingerà verso la punizione, l’insegnante in un intervento educativo, eccetera. Come psicoterapeuta credo sia possibile, una volta fermato l’agito violento, provare a dare ascolto a certi ragazzi, porsi come area transazionale tra famiglia e sociale al fine di fornire al giovane un sostegno alla crescita. Una funzione che solo un adulto può fornire e che non può essere demandata ai coetanei. Questo incontro permette al ragazzo di trovare l’ascolto di cui necessita, ma anche di soddisfare il bisogno di ammirazione da parte di una figura adulta competente”.

E il ragazzo che nasconde la timidezza dicendo parolacce?
“L’adolescente è spinto a simbolizzare le proprie esperienze usando un linguaggio peculiare, spesso non verbale, fatto di vestiti, gesti, musica, graffiti, eccetera, per esprimere la sua identità e appartenenza. Nella logica adolescenziale l’uso della parolaccia serve proprio per creare una linea di demarcazione tra i due mondi: adulto e adolescente. I ragazzi necessitano assolutamente di crearsi un gergo, spesso incomprensibile agli adulti, che assume un ruolo fondamentale per distinguersi. E non per questo si tratta di bulli: se può essere vera l’affermazione che i bulli usano un turpiloquio, altrettanto non è il suo contrario”.

E la ragazzina eccessivamente precoce?
“Nelle diverse sfaccettature adolescenziali ci si imbatte in giovanissime che mettono in scena una figura forzatamente adulta, rimarcando seduttivamente la propria femminilità con abiti discinti, truccandosi marcatamente e dimostrando molti più anni di quelli che hanno in realtà. Il corpo è vissuto come strumento di piacere, così da tenere a bada il dramma originario: essere ‘sedotta’ dal proprio genitore per poi essere abbandonata. Ben inteso che, quanto si dice, appartiene ad uno scenario fantasmatico inconscio. Queste ragazze utilizzano il proprio corpo per attirare l’uomo così da poterlo catturare, rendendolo dipendente da loro. Solo così la relazione diventa fonte di rassicurazione e il corpo diventa elemento che consola. Essere cercata e desiderata è conditio sine qua non per vivere. Questa metodica serve anche a tenere a bada l’angoscia profonda dell’abbandono, del rifiuto. Si tratta di ragazzine pronte ad entrare nel mondo con la convinzione che i propri conflitti possano essere superati mediante una sessualità ‘agita’ più che pensata, con legami fondati sull’attrazione, la seduzione e il bisogno nei loro confronti, allontanandosi sempre più da una sessualità legata alla passione amorosa, alla costruzione di una coppia stabile e duratura, tipica di una posizione più adulta”.

In adolescenza si sente spesso parlare di disturbi alimentari, quale disagio nascondono?
“Durante il periodo adolescenziale il corpo, che si trasforma, assume un ruolo centrale. In questa delicata fase, l’adolescente deve provare a rappresentare il suo corpo nell’insieme, attribuirgli un significato sentimentale, relazionale, erotico, generativo. Mentre nel maschio aumenta la massa ponderale, la voce si trasforma e i genitali si sviluppano, per la femmina la situazione è più complessa: non è solo un corpo che cresce, ma diventa anche in grado di procreare, come quello della madre. Accedere all’area adulta significa dover accettare un’identificazione con la madre stessa, ma anche potersene staccare per entrare nel mondo come donne capaci di conquistare un uomo. È in questa delicata fase che una fragilità narcisistica (tipica del nostro secolo) unita ad una figura materna fusionale, che suscita contemporaneamente un forte desiderio di fusione e una profonda angoscia di annientamento, condiziona le scelte della giovane adolescente che può annullare completamente la propria sessualità mediante un corpo imbruttito con un dimagrimento forzato, così da spingersi a modalità di rapporto più primitive caratteristiche dei primi anni di vita, ristabilendo quella condizione di onnipotenza tipica dell’infanzia”.

La psicoterapia può aiutare a superare il disagio negli adolescenti? Come si svolge?
“L’intervento psicologico in particolari momenti di difficoltà può avere una funzione determinante. Un adolescente imbrigliato nel proprio processo di individuazione depotenzia il valore delle sue figure di riferimento (genitori), proprio perché non si fida più di loro, non li ritiene più depositari della conoscenza. Necessita di andare altrove alla ricerca della sua verità. Ha bisogno di una figura che lo aiuti a tollerare ciò che scoprirà sulla vita, sull’amore, sulla morte. Con un adolescente turbolento, diffidente e molto arrabbiato, ci si imbatterà in una scarsa disponibilità ad affrontare le proprie difficoltà mediante una talking cure. Per questo sarà opportuno offrirgli la possibilità di non sentirsi ‘incastrato’ in un rapporto di dipendenza, più tipico delle situazioni psicoanalitiche classiche, ma costruire assieme a lui/lei uno spazio dove poter sviluppare un linguaggio condiviso e dove offrire ascolto. Spesso l’adolescente userà la relazione terapeutica simbolicamente come contesto nel quale farsi rilasciare una patente e sentirsi autorizzato ad entrare nel mondo adulto, ad usare il proprio corpo e la propria mente senza sottostare a dipendenze”.

A cura di Lucrezia Zaccaria

 

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