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Scompenso, staminali per “riparare” il cuore?

10/04/2007

I problemi legati allo scompenso cardiaco e le principali novità per curarli, a partire dalle tecniche per “riparare” il cuore con le cellule staminali. Sono alcuni dei temi affrontati venerdì 13 e sabato 14 aprile durante il settimo Simposio Internazionale sullo scompenso cardiaco che si è tenuto presso l’Istituto Clinico Humanitas. Promotori del convegno, insieme a Humanitas, l’Ospedale Careggi di Firenze e l’Azienda Ospedaliera Universitaria San Martino di Genova.
Si tratta del più importante convegno di questo semestre in Italia sul tema dello scompenso cardiaco, durante il quale si sono confrontati i maggiori esperti internazionali, come Ottavio Alfieri, Piero Anversa, Carlo Pappone, Gilles Dreyfus, Sharon Hunt, Marielle Jessup, Jim Young.

Molti quesiti si sono aperti dopo che negli ultimi venti anni la terapia dell’insufficienza cardiaca ha conseguito successi insperati, ma anche inattese delusioni. “L’obiettivo del meeting di quest’anno – spiega il dott. Edoardo Gronda, cardiologo – era di cercare per le domande più scottanti le risposte che si possono ottenere in ambiti diversi da quelli che la cardiologia ha sin qui considerato. Dati recenti della letteratura indicano che nella sindrome da insufficienza cardiaca le variabili che possono incidere in modo non prevedibile sull’esito sono connesse a condizioni cliniche o patologiche associate, poco rappresentate nelle popolazioni arruolate nei grandi trials clinici. Tra queste la differente presenza del sesso femminile”.
Questa componente minoritaria e selezionata nei grandi trials sulla base di criteri prevalenti nel sesso maschile, appare molto rilevante nell’epidemiologia, poiché il quadro clinico e patologico è diverso sia per la componente anatomica che fisiopatologica, implicando le risposte terapeutiche più appropriate. A questo si aggiungono le grandi pandemie come la fibrillazione atriale, l’ipertensione arteriosa, il diabete e la nefropatia, che presentano correlazioni crescenti fra di loro e dall’interazione reciproca emergono quadri clinici più intricati e tra questi il più frequente è proprio l’insufficienza cardiaca. E’ ormai certo che esiste un’interazione spiccata tra questi stati morbosi non solo quando il quadro clinico è avanzato, ma anche precocemente con caratteristiche che il cardiologo può ignorare o sottostimare, essendo poi indotto a rinviare l’intervento terapeutico a fasi più avanzate in cui il trattamento è meno efficace e più costoso.

“Questo atteggiamento è in contrasto con i dati più recenti della letteratura che indicano come il trattamento corretto e precoce del danno ipertensivo, renale e metabolico sia la terapia più efficace per prevenire gli eventi cardiovascolari avversi, in particolare, l’insufficienza cardiaca – continua il dott. Gronda –. Peraltro, quando l’insufficienza cardiaca è già presente, la concomitanza di danno renale e/o di alterato metabolismo glucidico compromettono maggiormente la prognosi in modo indipendente. È chiaro che al trattamento specifico dello scompenso si deve associare un altrettanto specifico trattamento delle co-patologie, orientando il cardiologo ad ampliare il proprio bagaglio culturale in senso multidisciplinare”.

Aprile 2007 – A cura della Redazione

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