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Ecco come si possono curare i linfomi. Parola al Dottor Santoro

02/08/2001

Diagnosi precoce, terapie ad hoc: i linfomi oggi fanno meno paura. Negli ultimi anni i progressi nella ricerca hanno fatto crescere enormemente le possibilità di guarigione definitiva , un risultato impensabile fino a qualche anno fa.Ne parliamo con il dottor Armando Santoro, direttore del Dipartimento di Oncologia ed Ematologia di Humanitas.

 

Innanzi tutto, cosa sono i linfomi?

Sono tumori maligni che colpiscono il sistema linfatico. Questo è formato dai linfonodi, piccole ghiandole localizzate in tutto il corpo, collegati tra loro da una rete di sottili vasi nei quali circola la linfa, un liquido contenente i globuli bianchi (leucociti) che proteggono l’organismo dalle infezioni.
I linfomi si suddividono in linfomi di Hodgkin e non Hodgkin.

Qual è la differenza tra i due linfomi?

Il linfoma di Hodgkin è un tumore che tende a invadere gruppi di linfonodi vicini tra loro (per esempio quelli del mediastino o del collo), senza infiltrarsi nella circolazione sanguigna che può trasportare le cellule tumorali ad altri organi. I linfomi non Hodgkin, invece, tendono a invadere tutto l’organismo e sono quelli più difficili da curare, ma negli ultimi anni la medicina ha fatto passi da gigante.

Come si possono curare i linfomi?

Per i linfomi non Hodgkin le cure tradizionali si basano su un trattamento chemioterapico intensivo, ma ultimamente si guarda con interesse ad altre terapie, soprattutto anticorpi monoclonali e minitrapianti allogenici. Gli anticorpi monoclonali sono anticorpi particolari che impediscono la crescita di proteine specifiche, chiamate antigeni tumorali. Risultati notevoli sono stati ottenuti grazie all’uso di anticorpi monoclonali anti-CD20, e appare molto promettente l’associazione di questo anticorpo con la chemioterapia.
Più specifica, anche se non ancora sperimentata in Italia, è la cura che unisce anticorpi monoclonali con sostanze radioattive. Questa terapia ha fornito risultati entusiasmanti negli Stati Uniti, anche associata all’autotrapianto di midollo osseo. La fase di sperimentazione non è tuttavia ancora del tutto conclusa.

Lei ha parlato anche di minitrapianto allogenico, in cosa consiste?

Si tratta di un trapianto di cellule staminali provenienti dal midollo osseo o dal sangue periferico di un donatore compatibile: qui sono presenti diversi tipi di cellule, tra cui i linfociti T, che possono essere considerati i “guardiani” dell’organismo nei confronti di infezioni e cellule tumorali. Questi linfociti sono infatti in grado di riconoscere le cellule del linfoma come differenti e, quindi, di ucciderle. Il termine minitrapianto indica che i riceventi sono sottoposti a una terapia di preparazione di intensità minore a quanto normalmente effettuato per un trapianto allogenico classico. Nonostante il minitrapianto richieda una terapia di preparazione meno intensa, e quindi una minore tossicità si tratta comunque di un vero e proprio trapianto.
Si può ricorrere a questo trattamento nel caso di pazienti in cui la malattia ricompaia dopo il trattamento convenzionale.

Silvia Di Marco

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