Stai leggendo Nascere in piscina? Che idea …

Magazine

Nascere in piscina? Che idea …

09/07/2002

Quando si pensa a una piscina si associa l’idea al tempo libero, sport e vacanza. Ma nell’acqua di una piscina, secondo nuove tendenze, c’è anche chi decide di far nascere il proprio bambino. E sul parto in acqua intervengono gli specialisti dell’Istituto Clinico Humanitas di Milano.

Come nasce questa pratica e perché?
“Si è cercato di imitare l’ambiente fisiologico in cui vive il bambino per cercare di rendergli meno traumatico il momento del parto. In Italia si pratica da 5-6 anni e fino a poco tempo fa la tecnica veniva applicata nel periodo immediatamente precedente al momento del parto vero e proprio: si faceva immergere la donna in acqua tiepida per cercare di regolarizzare le contrazioni, mentre l’evento parto si faceva seguire al di fuori dell’acqua”.

In quali casi si può procedere al parto acquatico?
“Esistono dei criteri di ammissione al parto in acqua: il travaglio deve essere assolutamente fisiologico, senza complicanze di alcun tipo. Non possono accedervi tutte le donne che hanno avuto problemi durante la gravidanza o con una potenzialità di travaglio patologica: per esempio quelle il cui feto ha dimensioni maggiori oppure le donne che hanno già subito il taglio cesareo o un intervento chirurgico. E’ ovvio che ci troviamo di fronte a partorienti “più impegnative” che hanno la necessità di monitorare continuamente il battito cardiaco fetale durante il travaglio. Comunque, sono ancora pochi i centri davvero specializzati nella tecnica del travaglio e del parto in acqua”.

Quali sono i vantaggi e gli svantaggi del parto in acqua?
“I vantaggi sono quasi tutti per il nascituro che vede la luce in un ambiente per lui fisiologico: si sviluppa per 9 mesi all’interno del liquido amniotico per nascere poi, in maniera meno traumatica, in un ambiente anch’esso acquatico. Un piccolo svantaggio è dato dal fatto che si ottiene un ambientamento complessivo del bimbo più rallentato, rispetto all’evento fisiologico in sala parto: il neonato ha il tempo di ambientarsi, ma dopo, – comunque – dovrà essere estratto dall’acqua per compiere nell’aria i primi atti respiratori”.

Perché?
“Semplice: i primi atti respiratori del neonato richiedono molto sforzo: devono avvenire comunque all’aria aperta per far fuoriuscire tutta l’acqua residua contenuta negli alveoli polmonari. Nel momento in cui il nascituro esce dall’utero e passa in una piscina egli può rallentare questo tipo di adeguamento-ambientamento, ma, poi, deve adeguarsi a respirare perché la funzione polmonare deve entrare pienamente in attività. Nel parto acquatico si trattengono i bambini in piscina per circa 10 minuti, per poi estrarli e praticare le manovre che normalmente avvengono nell’aria. In questi casi il bimbo non piange subito, non avendo padronanza dei movimenti respiratori: lo fa solo quando viene estratto dall’acqua. Finché rimane in acqua può solo fare la pipì o espellere il meconio, cioè le sue prime feci, i primi sintomi di un benessere fetale”.

E per la madre?
“Dal punto di vista materno, l’aspetto positivo è che l’acqua può aiutare un miglior rilassamento nelle pause delle contrazioni. Di solito è una gran fatica, nel parto esterno normale, riuscire a dire alla donna, nei 10 secondi che seguono la spinta di contrazione: “cerchi di rilassare i muscoli e poi riprenda forza per la successiva contrazione”. Queste manovre risultano più facili in acqua: il liquido agisce sul rilassamento del tono generale. C’è un’altra possibilità da non scartare: la donna può entrare in travaglio senza rompere le membrane, con il sacco amniotico integro: in questo caso – nel parto in acqua – sarà difficile che si rompano da sole. Se invece si sono già rotte, in acqua si ha un continuo ricambio di liquidi a differenza del parto normale, in aria: in quest’ultimo caso, man mano che il liquido amniotico diminuisce, il bambino può avere episodi di sofferenza durante il travaglio e il parto. In acqua ciò non avviene… e il liquido avvolge continuamente il bimbo: per lui è un vantaggio in più”.

Quali controindicazioni?
“Qualsiasi imprevisto insorga durante il parto crea problemi se ci si trova a dover operare in acqua. Mi riferisco, in particolare, alla necessità di dovere eseguire episiotomie: in acqua si devono evitare lacerazioni o tagli a livello vaginale. Come agire allora? Meglio far uscire la donna, metterla sul lettino e operare, rinunciando al parto acquatico. Un altro problema da non trascurare è il “secondamento”. Se è spontaneo, naturale, non occorre fare alcuna manovra particolare: la placenta esce da sola e il cordone ombelicale viene estratto gradualmente. Qualora si dovesse presentare la necessità di un “secondamento manuale”, la donna dovrà uscire dall’acqua. Non dobbiamo dimenticare, poi, che il travaglio e il parto non sono episodi propriamente “puliti”. Durante le contrazioni la donna può espellere feci e urine, inquinando l’acqua. Perciò, in definitiva: il parto acquatico è positivo per la madre e il bambino se avviene nei tempi giusti, il collo dell’utero si richiude subito dopo il secondamento, non vi sono complicazioni. Ma se i tempi si allungano, c’è il rischio concreto che l’acqua sporca entri nell’utero causando infezioni: le endometriti”.

A cura di Umberto Gambino

Articoli che potrebbero interessarti

Non perderti i nostri consigli sulla tua salute

Registrati per la newsletter settimanale di Humanitas Salute e ricevi aggiornamenti su prevenzione, nutrizione, lifestyle e consigli per migliorare il tuo stile di vita