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Donne, la terapia è un’arte

29/03/2004

Da sempre l’uomo si interroga sul significato della parola arte, concetto che accoglie in sé sia i prodotti del fare artistico che i procedimenti utilizzati da chi vi si dedica. Ebbene, ci troviamo forse alle soglie di una nuova tendenza interpretativa grazie ad un approccio che dimentica le classificazioni storiche ed estetiche per privilegiare e far emergere il valore del potenziale terapeutico dell’arte.

Sono infatti sempre più numerosi coloro che credono nel valore curativo dell’esercizio dell’arte. I segnali ci sono e numerosi, soprattutto all’estero. Un esempio attualissimo è un corso di Arte-Terapia avviato l’ottobre scorso a Treviglio, la cui conclusione è prevista per maggio. L’esperienza si muove sulla fiducia nella pratica artistica (pittorica in questo caso) quale antidoto alla sofferenza psicologica vissuta da donne che hanno subito violenza. L’esercizio prassico della pittura viene utilizzato come mezzo finalizzato alla riapertura dei canali della comunicazione personale, una medicina utile al riequilibrio psico-fisico di donne violate, interrotte, spente dalla violenza subita.
Il progetto è nato sulla scorta di un’esperienza promossa nel novembre del 2002 dall’Inner Wheel di Treviglio, che organizzò una mostra di quadri dipinti da donne jugoslave vittime della violenza bellica. Tali opere erano il frutto di un importante progetto denominato Terapia dell’arte attivato nel 1999 dall’associazione “Donna 2000” (con sede a Pec, in Kosovo) nei territori della ex Jugoslavia ferita dalla guerra e finanziato dall’ONU e dalla CEE.
A Treviglio il progetto (patrocinato dal Comune) è stato promosso dall’Inner Wheel in collaborazione con il Centro Ricerche e Studi di Medicine Complementari di Milano e con l’Accademia Carrara di Bergamo. L’utenza è costituita da donne che hanno vissuto situazioni di forte disagio inserite negli elenchi dei servizi sociali del Comune di Treviglio. Sono seguite dal dr. Franco Sammaciccia, esperto di medicina complementare e dal prof. Gianni Macalli – che ha gentilmente accettato di incontrarci per un’intervista – docente di Tecniche Pittoriche presso l’Accademia Carrara di Bergamo e titolare del corso di Tecniche Artistiche alla facoltà di Lettere e Filosofia presso l’Università Statale di Bergamo.

“L’anno scorso ho voluto sperimentare nelle mie lezioni curricolari il concetto di arte come comunicazione -dice Macalli- Per cui il progetto di Treviglio si legava perfettamente ai miei interessi e alla mia personale ricerca del momento. La finalità dell’esperienza è proprio di aiutare queste donne che hanno subito violenza a comunicare il proprio disagio attraverso la libertà espressiva della pittura”.

Come è strutturato il progetto?
“Esattamente come un normale corso di pittura. Ci incontriamo una volta la settimana in un’aula messa a disposizione dal Liceo Artistico di Treviglio. Abbiamo previsto un percorso di apprendimento tecnico, per fornire gli strumenti necessari all’espressione personale.
Il corso ha seguito tappe precise e si è articolato in diverse fasi: inizialmente le partecipanti hanno dovuto liberarsi dalle normali inibizioni per riuscire a disegnare ed analizzare il loro segno personale. Abbiamo poi condotto una lettura della forma artistica attraverso testi, immagini, documenti, cataloghi di mostre per imparare a conoscere il soggetto ‘artista’ e per costruire parallelamente una lettura simbolica del segno espressivo di ognuna di loro. Una volta riconosciuta la soggettiva capacità di disegnare, le allieve hanno eseguito esercizi che le hanno portate a rompere la propria sicurezza segnica per recuperare la libertà del gesto creativo e trovare una personale forma espressiva. A questo scopo il disegno viene eseguito a pennello o con matite e carboncini fissati su lunghi bastoni, così da rendere meno immediata l’operazione. Questi esercizi costringono il soggetto a superarsi continuamente e a conoscere le proprie capacità di comunicazione attraverso la pittura.”

E come entra il colore in questo tipo di lavoro?
“Il colore interviene in una fase successiva ma è una componente molto importante del percorso terapeutico. L’analisi dei toni utilizzati può essere utile alla comprensione del carattere e della misura del disagio vissuto dalla donna: di solito i soggetti introversi usano colori scuri, cupi mentre un carattere più solare sceglie tinte chiare. Anche in questa fase la valenza terapeutica del percorso sta nel suggerire alle donne la necessità di superarsi continuamente, prendendo coscienza dei propri confini -creativi nel nostro caso, metafora dei limiti del disagio vissuto- per oltrepassarli mettendo continuamente in discussione i risultati conseguiti. Dal punto di vista psicologico questo ha un enorme valore positivo: il misurarsi con se stessi è un atto terapeutico vero e proprio.”

Quali sono le reazioni delle utenti?
“Voglio ricordare che queste nove donne frequentano anche altri corsi, tra cui è compreso un corso di drammatizzazione. Per loro il nostro appuntamento è diventato indispensabile. Hanno rivelato, attraverso un sempre più forte attaccamento alla figura del ‘maestro’, un grande interesse per gli incontri. Certo, gestire il loro disagio, i loro problemi relazionali non è cosa da poco. Occorre anche evitare di instaurare rapporti troppo individualizzati, non si può fare psicoterapia (per questo il supporto medico è fondamentale): lo scopo è far emergere i conflitti attraverso l’arte e la condivisione dell’azione artistica. Le allieve hanno sperimentato il piacere concreto del fare, prendendo parte anche a lavori collettivi dove il supporto dell’azione pittorica si dilata, diventa parete, stanza. Il corpo è così totalmente immerso nello spazio pittorico che diventa un ambiente coinvolgente, portando ad invertire il punto di vista percettivo. Anche questo aspetto rientra nel progetto terapeutico: superare il limite del proprio io, della propria situazione di sofferenza, della propria soggettività. Abbiamo realizzato dipinti a più mani che hanno portato le allieve a confrontarsi con il lavoro dell’altro, intervenendovi per completarlo e accettando, accogliendo in sé le diversità altrui. In sostanza si impara a misurarsi con le proprie capacità emotive, sempre attraverso il gesto liberatorio dell’arte: queste donne stanno cercando di guardare in faccia i loro traumi per utilizzare il conflitto in modo positivo e recuperare l’autostima e la dignità perdute.”

E cosa pensa il ‘maestro’ dei risultati –diciamo così- artistici?
“Da questa esperienza stanno uscendo opere dotate di una forza espressiva straordinaria. Il mio ruolo è anche quello di interpretare certi segni, certe macchie di colore aiutando le autrici a leggervi segnali, simboli, tracce di qualcosa di molto profondo e personale. Alla fine di questa avventura verrà organizzata una mostra di tutte le opere realizzate (dal 16 maggio prossimo per una settimana, a Treviglio nella sede degli ex magazzini Upim, ndr): sarà un momento importante per le allieve, anche se -lo ripeto- l’aspetto più rilevante è stato per loro ritrovare un equilibrio emotivo attraverso il piacere gestuale della produzione artistica, stabilire nel vero senso della parola una propria identità creativa.”

A cura di Silvia Merico

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