Stai leggendo Clonazione: esperimenti fini a se stessi e senza utilità pratica

Magazine

Clonazione: esperimenti fini a se stessi e senza utilità pratica

04/12/2001

Clonazione umana, produzione in serie di cellule staminali da specializzare per la cura di gravi e importanti malattie, come il diabete, il morbo di Parkinson, l’Alzeimer o per la riparazione del tessuto cardiaco infartuato. La ricerca e il mondo scientifico vanno avanti verso nuove, clamorose scoperte che promettono nel prossimo decennio, un futuro sempre più all’insegna del benessere. Ma qual è lo stato delle conoscenze e quali sono le possibili applicazioni reali e immediate che deriveranno dall’avvento delle cellule staminali nel “campo” delle cure mediche? Scenari da fantascienza o realtà prossima ventura? Lo abbiamo chiesto ad uno dei massimi esperti nel settore della ricerca sulle cellule staminali (in inglese “stem cells”) e della loro applicazione clinica: il professor Giuseppe Leone, direttore dell’Istituto di Ematologia dell’Università Cattolica di Roma.

Professor Leone, cosa ne pensa dei tentativi annunciati di clonazione umana?
“Fino ad oggi, tutti i tentativi – anche clamorosi – di cui si è parlato su stampa e televisione non hanno dimostrato una finalità pratica. Non è detto che le cellule staminali embrionali siano migliori di quelle dell’adulto. Si tratta di esperimenti fini a se stessi e parecchio indefiniti. Che fanno in pratica questi scienziati? Differenziano l’embrione, ma fino a che punto? E poi, in base a quali criteri decidono il momento giusto per dare uno “stop” alla differenziazione? Nulla di concreto. Perché allora ostinarsi a continuare con altri tentativi di clonazione umana partendo dall’embrione congelato? La risposta è semplice: si sa che le cellule staminali embrionali possono moltiplicarsi a dismisura, a differenza di quelle dell’adulto. Ma dal punto di vista economico, a mio parere, non conviene affatto proseguire con questi esperimenti”.
Ma come sarà l’uomo clonato, se davvero ci sarà? “Gli scienziati che volessero provarci sul serio – replica il prof. Leone – otterrebbero un essere che vivrà di meno e starà peggio di salute: ossia, un mostro o un soggetto già irreparabilmente malato. Una riflessione finale: il genere umano è il frutto dell’evoluzione della specie in migliaia di anni; con la clonazione dei nostri simili rischiamo davvero di tornare indietro”.

Cellule totipotenti, multipotenti o unipotenti
“In parole molto semplici – spiega il professor Giuseppe Leone – la cellula staminale è un tipo di cellula capace prima di riprodurre se stessa e poi di trasformarsi in una o più cellule specifiche, cioè mature. Nell’organismo umano ne troviamo di più tipi. Le cellule staminali si distinguono in “totipotenti”, in quanto possono dare origine a tutti i tipi di tessuti; “multipotenti” o “pluripotenti”, perché possono dar luogo ad alcuni tipi di cellule o tessuti; “unipotenti”, quelle che danno origine soltanto ad un tipo cellulare. Nei nostri laboratori di ricerca dell’Istituto di Ematologia, lavoriamo principalmente con le cellule staminali emopoietiche, capaci di riprodurre tutti gli elementi figurati del sangue: globuli rossi, globuli bianchi e piastrine”.

Cellule dotate di “plasticità”: le più versatili sono le emopoietiche
“Le cellule staminali adulte – continua Leone – possiedono una proprietà importantissima: la “plasticità”. Secondo studi recenti, infatti, le cellule staminali di tessuti diversi sono intercambiabili. Questa caratteristica permette a tipi cellulari apparentemente orientati verso la differenziazione in cellule specializzate di un probabile tessuto “X” di percorrere una “strada” diversa, generando elementi che, per esempio, costituiranno organi “Y” o sistemi diversi dal “percorso” originario”.

Quali sono le cellule staminali più importanti, dal punto di vista scientifico?
“Finora è stato dimostrato, in modelli animali, che le cellule del distretto emopoietico, il più “plastico” di tutti, sono molto versatili perché si possono differenziare in diversi tessuti: muscolare, epatico, cardiaco. Ma non vanno trascurate anche le cellule contenute nel sangue di cordone ombelicale, ritenuto in passato un materiale di scarto: oggi è considerato una fonte cospicua di cellule staminali emopoietiche multipotenti in grado di determinare un completo ripopolamento del midollo osseo. Queste cellule generano altre cellule uguali a se stesse”.

Le più importanti applicazioni nella cura delle malattie del sangue
In ematologia, il trapianto di cellule staminali emopoietiche prelevate da un donatore trova indicazione per la cura della leucemia mieloide cronica e nelle leucemie acute ritenute più gravi, più raramente per contrastare il mieloma multiplo, i linfomi e la leucemia linfatica cronica. Questo tipo di trapianto è indicato anche per la terapia della talassemia maior, dell’aplasia midollare e delle immunodeficienze congenite. Il trapianto autologo (quello eseguito prelevando cellule staminali dallo stesso paziente) trova invece indicazione nella cura delle leucosi acute e di alcuni tipi specifici di mieloma multiplo.

Molti esperimenti sugli animali da laboratorio, ancora pochi sull’uomo
“Noi ricercatori stiamo studiando le “reali potenzialità” da attribuire alle cellule staminali. In proposito, è bene precisare come siano davvero poche, finora, le sperimentazioni davvero serie condotte sull’uomo. Non sappiamo ancora quali compiti affidare specificatamente ad ogni singolo gruppo cellulare. Tuttavia, da anni si eseguono i trapianti di midollo osseo ed entro i prossimi cinque anni sarà possibile trapiantare nell’uomo diverse famiglie di cellule staminali”.
Ma quali sono le sperimentazioni più importanti attuate finora?
“Una per tutte, quella fatta su alcuni esemplari di topi transgenici: in essi, le cellule staminali isolate dal sistema nervoso centrale hanno ripopolato il sistema emopoietico, quello preposto a generare le cellule del sangue. Per passare all’uomo, è da evidenziare come cellule epatiche di donatore siano state ritrovate in soggetti che avevano ricevuto il trapianto di midollo osseo”.

Le sperimentazioni con le cellule staminali emopoietiche
“Il primo obiettivo della nostra ricerca all’Istituto di Ematologia dell’Università Cattolica – spiega in dettaglio il professor Leone – è quello di dimostrare che, in caso di infarto al miocardio o di necrosi epatica acuta, le cellule staminali emopoietiche, nell’individuo adulto, aumentano nel sangue. Al contrario, in condizioni fisiologiche sono pochissime: abbiamo scoperto che in questo caso scatta nell’organismo uno stimolo che spinge ad utilizzare le emopoietiche si attivano e rigenerano i tessuti danneggiati.
Il secondo obiettivo è riuscire a verificare che, se queste cellule aumentano, i malati con un maggior incremento di “staminali” in circolo, ottengono anche una rigenerazione migliore dei tessuti danneggiati e quindi una maggiore percentuale di sopravvivenza.
Ci siamo posti anche un terzo obiettivo: consiste nel poter aumentare noi stessi la produzione di cellule staminali emopoietiche sfruttando fattori di crescita già noti e controllabili, verificando così la presenza di un ulteriore miglioramento dei processi di rigenerazione dei tessuti del cuore e del fegato”.

Le reali prospettive nel campo della ricerca: no ai facili ottimismi
“Il futuro? Ancora incerto, ma promettente”, commenta Giuseppe Leone. “I prossimi 5-10 anni saranno decisivi in questo delicato settore. Oltre alle tante possibilità in ematologia, si parla concretamente dell’utilizzo delle cellule staminali embrionali per la cura del morbo di Alzeimer, per citare solo una possibile applicazione, ma non è stata ancora verificata a sufficienza né sappiamo se vi siano controindicazioni. Per questo ed altri esperimenti si possono usare le cellule staminali adulte. Se oggi, da scienziato, dovessi investire fondi in una ricerca, lascerei perdere le cellule embrionali e punterei tutto sulle staminali adulte, che abbiamo a disposizione: nell’organismo umano quelle del sangue sono le più accessibili”.
“Ma vorrei sgombrare il campo dai facili ottimismi: poter disporre delle staminali non significa – per lo scienziato – avere la certezza di fornire una cura risolutiva per tutti i tumori, sperando di guarirli. Le prove da fare saranno molte e dai risultati non sempre univoci. Molto meglio, secondo me, concentrare oggi gli sforzi su alcune malattie croniche degenerative come il Parkinson, l’Alzheimer, il diabete”.

A cura di Umberto Gambino

Articoli che potrebbero interessarti

Non perderti i nostri consigli sulla tua salute

Registrati per la newsletter settimanale di Humanitas Salute e ricevi aggiornamenti su prevenzione, nutrizione, lifestyle e consigli per migliorare il tuo stile di vita