Bossi Fedrigotti: cambiamo punto di vista sulla vita

A cosa serve la lettura? Fino a che punto può arrivare uno scrittore? Sembravano queste le domande sottese alla chiacchierata familiare fatta con Isabella Bossi Fedrigotti durante il primo incontro del ciclo Voltapagina-Il piacere della lettura, il “salotto letterario” di Humanitas. La corrispondenza della scrittrice con i lettori del Corriere è stata lo spunto per raccontare sentimenti ed emozioni di oltre dieci anni di “vita” vissuta con il pubblico, dal primo momento in cui le fu proposto di rispondere alla posta sul giornale, fino all’esperienza del forum su Corriere online. Proviamo a riproporne i passaggi più interessanti.

Com’è nata la sua esperienza di corrispondenza con i lettori?
“Mi è sempre piaciuto ‘farmi i fatti degli altri’, ascoltarli raccontare. E poi sono sempre stata un’appassionata lettrice della ‘Posta al Direttore’. Così, quando mi proposero di affidarmi le risposte alle lettere dei lettori, fui più che entusiasta. Forse lo scopo era quello di ‘confinarmi’ in uno spazio preciso, allora gli scrittori non erano ben visti in redazione, si pensava creassero disordine, si considerassero migliori degli altri. Io non ho mai capito questo contrasto, ho sempre creduto che le due scritture si arricchissero a vicenda. La cura per la scrittura giornalistica non può essere minore rispetto a quella per la letteratura. Quando scrivo sul Corriere io so che scrivo per centinaia di migliaia di persone ogni giorno. In ogni caso, accolsi molto bene la proposta, da sempre ho avuto la vocazione della scrittura solitaria, non ero portata per la ‘cronaca’ che necessita una relazione costante con le fonti di informazione sui fatti. Per me la posta era la dimensione ideale. Allora, la corrispondenza con i lettori era una novità per il giornale, di cui nessuno voleva occuparsi; solo in seguito ha acquisito progressiva importanza, tanto che persino Montanelli chiese di avere la mia rubrica che io, ovviamente, dovetti cedere a malincuore”.

Come è cambiata la corrispondenza con i lettori in tutti questi anni e nel passaggio dal cartaceo all’online?
“È cambiato tutto, gli argomenti, i tempi. Prima erano soprattutto le donne a scrivere, oggi gli uomini sono la maggioranza, di età compresa tra i 18 e i 40 anni il periodo di vita più critico. Non ho notato un grande cambiamento nei contenuti che spaziano su tutti gli aspetti importanti della vita: il lavoro, i sentimenti, la famiglia e i figli. In questo senso, gli argomenti non sono cambiati nel tempo, piuttosto sono cambiate le priorità. Se una volta il primo posto spettava ai problemi sentimentali e alla famiglia, ora è il lavoro a destare le principali preoccupazioni, con le criticità che lo caratterizzano e che creano insicurezza, come la precarietà o il mobbing. Certamente questo rende più complicato per me dare risposte soddisfacenti. A certi problemi bisognerebbe dare soluzioni concrete, ma spesso, come è ovvio, non è possibile. Sono cambiati anche i tempi: al principio, le domande erano molto dirette, richiedevano risposte pratiche e immediate. Poi è seguito un periodo in cui veniva richiesta più argomentazione, ora, invece, con internet, è tornata l’urgenza di ottenere una risposta rapida e circoscritta”.

Cosa le chiedono i lettori e quali crede possano essere le loro aspettative nei suoi confronti?
“I lettori scrivono per sfogarsi, spesso perché scontenti della vita o delusi dagli altri. Il quadro che ne esce farebbe pensare che il mondo sia alla disperazione. Ovviamente, bisogna precisare che chi sta bene non scrive, non sente probabilmente il bisogno di confidarsi. In ogni caso, le difficoltà di chi scrive sono reali. Nessuna lettera è inventata, spesso, anche nei casi apparentemente più assurdi, è la realtà che supera la fantasia. Questo però mi fa sentire molto responsabilizzata sulle risposte. Scrivere è importante, la parola scritta ha un potere immenso. Mi chiedo spesso cosa posso fare io che, ovviamente, non sono in condizione di risolvere le loro difficoltà. Credo che l’unico aiuto da dare sia cercare di mostrare ai lettori un altro punto di vista sul loro problema. Spesso basta la voce di chi è estraneo al problema per vedere la situazione in modo differente o per sentirsi meno soli. Per questo, mi aiuta la letteratura, la capacità di vedere la realtà con altri occhi”.

Si immagina le persone che le scrivono, ne ha conosciute alcune?
“Sì, ma di solito l’immagine che mi sono fatta non corrisponde quasi mai alla realtà. Nel caso delle e-mail e del forum, il nickname dà un indizio sulle caratteristiche del personaggio cui chi scrive vorrebbe somigliare, ma poi la persona reale non corrisponde quasi mai”.

Da cosa prende spunto il mondo interiore dei suoi personaggi, dalla corrispondenza con i lettori?
“Lo scrittore attraversa la quotidianità raccogliendo spunti qua e là. A volte, si tratta di brandelli di conversazione, anche solo di atteggiamenti, da cui poi crescono storie. Le storie si costruiscono quasi da sole. Sono i personaggi che ti prendono la mano e che pretendono di ‘dire la loro’ nel racconto. Lo scrittore deve solo lasciare loro lo spazio per uscire”.

Come sceglie i titoli dei suoi libri?
Il titolo ovviamente è fondamentale. Di solito li scelgo io. Se sono fortunata, nasce prima il titolo e poi il libro gli viene scritto ‘addosso’. È il caso di Magazzino Vita. La casa che descrivo esiste davvero ed è il romanzo che cui pensavo da sempre. Forse per questo è quello cui sono più affezionata”.

Oggi ci sono molte più autrici donne, secondo lei perché?
“Da un lato, questo fatto è sicuramente un prodotto della scolarizzazione femminile avvenuta nell’ultimo secolo. La scrittura non è altro che l’altra faccia della lettura e la lettura è sempre stata molto congeniale alle donne, riempiva le attese di cui erano spesso protagoniste, le veglie degli ammalati, per esempio, o i ritorni dei familiari dalla guerra. Un libro è sempre figlio di un altro libro. Un altro fatto è che oggi la narrativa è consumata soprattutto dalle donne: per questo gli editori pensano che sia meglio proporre libri scritti da donne, perché credono che il pubblico ci si ritrovi di più. Io, per esempio, scrivo da quando avevo dodici anni. Ho scelto il mestiere di giornalista proprio perché mi avrebbe permesso di scrivere. Il talento della scrittura è un piccolo dono iniziale su cui lavorare, da sviluppare con l’esercizio e con il continuo confronto con il pubblico. Gli incontri come Voltapagina aiutano lo scrittore, perché agevolano il dibattito con le persone, sostituiscono i salotti letterari di una volta, sono l’unico luogo dove si può avere un riscontro reale sul proprio lavoro”.

Di Valentina Casiraghi

Redazione Humanitas Salute: