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Colotta: così nasce un antitumorale mirato

26/09/2006

Una cellula che differisce dalle altre, sane, in quanto è caratterizzata da alcune anomalie comportamentali ormai ben note. La cellula tumorale è infatti anarchica, ossia non obbedisce ai segnali regolatori dell’ambiente cellulare circostante, in cui nasce e si sviluppa. E’ inoltre immortale, perché prolifera all’infinito a differenza delle cellule sane, che giunte in una certa fase della loro vita non si replicano più e dunque muoiono. Infine, la cellula tumorale invade gli altri tessuti, dando origine a metastasi. Per quale motivo? Lo abbiamo chiesto al dott. Francesco Colotta, Direttore Ricerca e Sviluppo di Nerviano Medical Sciences (NMS), la più grande struttura di R&S in oncologia in Europa e una delle maggiori nel mondo. NMS, spin-off del Centro Ricerche Pfizer di Nerviano, ha dietro di sè la storia e l’esperienza di Farmitalia Carlo Erba e di alcune pietre miliari (come le antracicline) delle attuali terapie antitumorali.

Dott. Colotta, qual è la causa del comportamento anomalo delle cellule tumorali?
“Responsabili delle anomalie comportamentali sono le proteine modificate contenute all’interno delle cellule cancerose, che derivano da un’alterazione genetica. Il tumore, in altre parole, è imputabile ad una o più modificazioni che avvengono all’interno del DNA dell’individuo e può essere scatenata da fattori diversi: da quelli ambientali (ad esempio l’inquinamento o il fumo) a, non ultimo, il caso”.

Qual è oggi la nuova frontiera delle cure oncologiche?
“Grazie alle scoperte dell’oncologia molecolare, oggi la strategia per mettere a punto nuovi e più efficaci farmaci antitumorali parte dall’identificazione delle proteine alterate che sono responsabili del comportamento anomalo delle cellule cancerose, per poi disegnare in maniera razionale farmaci in grado di bloccare l’attività di tali proteine e quindi eliminare in maniera selettiva le cellule tumorali. Sulla base di questo approccio (definito ‘targeted therapy’) si stanno sviluppando nuove terapie in grado di bloccare i meccanismi molecolari alla base del cancro. Con risultati davvero incoraggianti”.

Come agiscono le targeted therapies?
“Proprio bloccando l’attività delle proteine modificate presenti all’interno delle cellule cancerose. Possiamo paragonare la proteina alterata ad una serratura: per chiuderla e bloccarla è necessario trovare la chiave giusta. Questa non è altro che una molecola, che una volta individuata diventa il principio attivo di un farmaco: identificarla è dunque il primo passo per lo sviluppo di una target therapy”.

E come si trova questa chiave?
“Attraverso uno screening effettuato sulle diverse molecole oggi a disposizione, i ricercatori riescono ad individuare alcune ‘chiavi’ che entrano nella ‘serratura’, anche se non sono in grado di bloccarla totalmente. A questo punto entrano in gioco i chimici, che lavorano su queste molecole con l’obiettivo di modificarle in modo tale da renderle perfette per quella proteina.
La tecnologia attualmente a disposizione ovviamente è di grande aiuto: la cristallografia a raggi X, ad esempio, permette di visualizzare con estrema precisione la struttura sia della ‘chiave’ sia della ‘serratura’, in modo che si possa capire più agevolmente come modificare la molecola selezionata”.

Una volta modificata ad hoc la molecola significa che il farmaco è pronto?
“No, questo è solo il primo passo per lo sviluppo di un farmaco antitumorale mirato. Occorrono poi altri passaggi. Ad esempio è necessario dimostrare che la ‘chiave’ creata ad hoc si può riprodurre con costi sostenibili. E ancora, che possiede determinate proprietà (farmaceutiche, tossicologiche…) che la rendono adatta a raggiungere l’obiettivo che deve combattere. Ad esempio deve essere stabile da un punto di vista farmaceutico, il che significa che non deve distruggersi a contatto con l’acqua presente all’interno del nostro organismo, o che non deve essere eliminata dai reni prima di aver raggiunto la cellula tumorale che costituisce il suo bersaglio. Deve inoltre essere tossicologicamente tollerabile, ossia non dannosa per l’organismo.
Dalla fase preclinica si passa quindi alla ricerca clinica, che a sua volta prevede fasi diverse. In media, per ciascuna molecola ci vogliono all’incirca 10-15 anni prima di arrivare allo sviluppo di un farmaco da commercializzare. Si tratta di un processo lungo e costoso, per il quale sono necessari investimenti cospicui. Anche perché su migliaia di molecole che iniziano questo percorso partendo dalla fase preclinica solo 1 o 2 arrivano alla fine con successo”.

Di Monica Florianello

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