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Effetto Genoma, prevenzione e terapia fanno centro

24/06/2008

Un ciondolo con un frammento di DNA estratto dalla saliva, da donare al proprio partner: è stata una delle idee più originali dell’ultimo San Valentino. E presto potrebbe diventare di moda regalare un DVD con tutta, ma proprio tutta, la sequenza del vostro genoma, al modico prezzo di poco meno di mille euro. Nulla in confronto ai 3 miliardi di dollari e ai 13 anni di lavoro, impiegati dai ricercatori americani per la prima mappatura completa del DNA umano, ultimata nel 2000.
Già lo scorso giugno il codice genetico di James Watson è stato sequenziato in soli due mesi e al costo di “solo” un milione di dollari dai ricercatori del 454 Life Sciences di Brandford e del Baylor College of Medicine di Houston. Risultati simili sono stati possibili grazie all’impiego di raffinati strumenti in grado di analizzare milioni di basi ogni giorno. Ed è ormai certo che i progressi in questo campo ci permetteranno di ottenere sequenze in tempi sempre più rapidi a costi sempre più bassi. Si tratta di uno scenario che potrebbe aprire nuove prospettive sia in campo medico sia nello studio delle nostre origini.

“Una conoscenza immediata e approfondita delle caratteristiche genetiche di ciascuno di noi, ci consentirà di effettuare diagnosi estremamente precise e con largo anticipo. Sarà possibile individuare la predisposizione individuale alle malattie e non solo: saremo anche in grado di elaborare strategie terapeutiche mirate e innovative – spiega Paolo Vezzoni, ricercatore del CNR presso l’Istituto di Tecnologie Biomediche e l’Istituto Clinico Humanitas -. Nel tempo potremo, probabilmente, arrivare ad identificare le varianti genomiche coinvolte nelle malattie multifattoriali, ovvero quelle che dipendono dall’interazione tra diversi geni combinati con fattori ambientali. Ma, soprattutto, già oggi siamo in grado, a livello di vita prenatale, di diagnosticare con certezza alcune gravi patologie monogeniche, ossia provocate dalla alterazione di un singolo gene. Si tratta di una grande opportunità per elaborare in anticipo le migliori strategie terapeutiche”.

Dal Progetto Genoma Italia ad Humanitas
Paolo Vezzoni, nel 1987, è stato vice coordinatore del Progetto Genoma Italia, diretto da Renato Dulbecco. Il team italiano ha dato un notevole contributo alla scoperta dei geni responsabili di alcune severe malattie genetiche, studiando in particolare la porzione terminale del braccio lungo del cromosoma X. Le ricerche del gruppo di Dulbecco sono proseguite fino al 1995, anno in cui furono improvvisamente interrotti i finanziamenti. Vezzoni, assieme ad altri ricercatori, ha quindi approfondito gli studi in questo settore presso il laboratorio interdisciplinare di tecnologie avanzate dell’Istituto di Tecnologie Biomediche del CNR. Queste ricerche hanno portato alla scoperta delle porzioni di DNA che sono all’origine di alcune gravi forme di immunodeficienza e di malattie dell’osso. Attualmente il gruppo sta proseguendo gli studi presso il Centro di Didattica e Ricerca di Humanitas, dove il professor Vezzoni dirige il Laboratorio di Biotecnologie Mediche.

“Il fatto di poter continuare la nostra attività in Humanitas ci permette di collaborare con il team di Alberto Mantovani – interviene Anna Villa, dirigente di ricerca del CNR, che in Humanitas coordina il Laboratorio del Genoma Umano -. Le loro scoperte sono un punto di riferimento fondamentale sull’immunità innata, un aspetto che finora non è stato preso adeguatamente in considerazione nell’ambito delle patologie di cui ci occupiamo. In particolare gli studi sulle cellule monocitiche, i globuli bianchi che attivano il sistema immunitario, potrebbero dare un importante contributo nella conoscenza dell’osteopetrosi, la patologia su cui sono maggiormente concentrati i nostri sforzi”.

Osteopetrosi: dalla ricerca alla cura
L’osteopetrosi è una malattia ereditaria infantile caratterizzata da un’alterazione progressiva della struttura ossea. Da un lato, questo porta al restringimento dello spazio interno dell’osso, impedendo così al midollo la corretta produzione delle cellule sanguigne, dall’altro provoca la compressione dei nervi del cranio con danni a livello neurologico come la cecità e la sordità, con conseguenze sempre letali. Colpisce un bambino ogni 100 mila ed è catalogata dall’OMS come una delle 5 mila malattie più rare al mondo, di cui la maggior parte sono di origine genetica.
“Abbiamo cominciato a studiare l’osteopetrosi nel 1998 – sottolinea Vezzoni – e nel 2000 siamo riusciti ad individuare il gene responsabile di una delle forme gravi della malattia. Successivamente, tra il 2000 e il 2007 abbiamo contribuito ad identificare i geni coinvolti in altre tre forme della patologia. Queste scoperte ci hanno permesso di stabilire quali forme si possono curare con un trapianto di midollo, e quali invece necessitano di un approccio terapeutico diverso e innovativo”. Il team di Vezzoni è diventato un punto di riferimento fondamentale per i pazienti affetti da questa malattia: è uno dei pochi laboratori al mondo in grado di fornire una diagnosi certa dell’osteopetrosi e della sua forma specifica. Il servizio viene offerto gratuitamente, nonostante l’attività diagnostica non sia prevista dal punto di vista economico né da parte dei sistemi sanitari, né dai fondi per la ricerca. “Se i test evidenziano la presenza della forma classica della malattia, di cui è responsabile il gene ATP6, è possibile curare il paziente con un trapianto di midollo – precisa Anna Villa – una procedura che presto potrebbe essere effettuata già in fase prenatale. Ad ogni modo una diagnosi precisa eseguita prima della nascita consente di procedere immediatamente dopo il parto con l’operazione, evitando che il bambino appena nato possa cominciare a soffrire per le prime gravi conseguenze della malattia”.

Nelle forme di osteopetrosi in cui il trapianto non è efficace, è stata presa in considerazione la terapia genica, un’ipotesi che però non promette di essere risolutiva. “Alcune immunodeficienze sono state le prime patologie sulle quali si è pensato di intervenire sostituendo il gene ‘sbagliato’ nel tentativo di eliminare definitivamente la malattia. Purtroppo però ci sono ancora diversi problemi da risolvere. La difficoltà principale è individuare un ‘vettore’ capace di trasferire in modo efficiente il gene corretto all’interno della cellula. Esistono però degli approcci terapeutici alternativi sui quali stiamo lavorando. Come, ad esempio, nella cura della forma di osteopetrosi provocata da un errore nel gene responsabile della produzione di Rank-L, una citochina fondamentale per la maturazione delle ossa. In questo caso stiamo studiando la possibilità di fornire la citochina mancante all’organismo che, però, dovrà essere somministrata in quantità adeguate e per lunghi periodi”. Al momento è ancora estremamente complesso e costoso produrre sostanze simili. Ed è quindi necessario dedicare ulteriore tempo e investimenti in questa direzione. Ma soltanto grazie alle ricerche genetiche condotte è stato possibile comprendere a fondo i meccanismi della malattia, identificando così un possibile approccio terapeutico per casi che fino a poco tempo fa erano considerati senza speranza.

Obiettivo futuro: le malattie multifattoriali
I ricercatori non hanno dubbi: è di fondamentale importanza riuscire a stabilire in modo sempre più preciso le caratteristiche genetiche di ciascuno di noi. “Ogni volta che il genoma viene riprodotto – chiarisce Vezzoni – si possono verificare ‘errori’ di copiatura, come accadeva nella riproduzione amanuense degli antichi manoscritti. Ora, grazie alla mappatura sempre più massiccia ed approfondita di ampie porzioni di DNA, si è scoperto che le differenze tra gli individui sono molto maggiori di quanto pensassimo. A seguito del Progetto Genoma si sono sviluppati diversi filoni di ricerca che, da un lato, studiano la particolare configurazione dei geni di un individuo in alcune regioni specifiche e, dall’altro, confrontano le differenze sull’intero genoma di migliaia di persone. Questo ha permesso, lo scorso anno, di associare a diverse patologie la variazione di alcune sequenze genetiche. Queste scoperte, in futuro, ci consentiranno di fare luce sulla componente genetica delle malattie multifattoriali”.

Le malattie multifattoriali sono il risultato dell’alterazione di una serie di geni, dell’interazione fra loro e dell’intervento di fattori ambientali esterni. L’obiettivo degli scienziati è individuare con certezza la componente genetica coinvolta nello sviluppo di queste patologie e di comprendere in che misura possa incidere effettivamente. In questo modo si potrebbe stabilire con maggiore precisione quanto un individuo sia geneticamente predisposto a contrarre un determinato male. “Sapere che le variazioni o le interazioni dei geni hanno un peso rilevante nell’insorgenza di certe malattie – spiega Vezzoni – da un lato potrebbe influenzare negativamente la psicologia dell’individuo, ma dall’altro potrebbe indurlo a mettere in pratica uno stile di vita che riduca al massimo gli effetti negativi dei fattori esterni. Ad esempio modificando la dieta o evitando di fumare. Sicuramente conoscere e comprendere a fondo le caratteristiche e i meccanismi del nostro DNA, e di quello di altri milioni di individui, aprirà la strada all’ipotesi di modifiche genetiche mirate a scopo preventivo o terapeutico”.

Di Carlo Falciola

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