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Viola: vi svelo i segreti dei linfociti T

06/03/2007

“Da piccola non ho mai chiesto di avere una Barbie, volevo un microscopio. In questo poi sono stata proprio fortunata perché la mia famiglia non mi ha mai ostacolata, anzi mi ha sempre aiutato a seguire questo percorso”. Qualcuno dice che biologi si nasce e, probabilmente, per Antonella Viola è stato proprio così. Ha iniziato i suoi studi all’università di Bari, dove c’era un’ottima scuola di ecologia, animata, come sostiene lei stessa “dall’intenzione di salvare il mondo dall’inquinamento”.
Dopo i primi due anni, per motivi famigliari, si è trasferita a Padova dove però quel settore di studi non era altrettanto coinvolgente. “Così mi sono ritrovata a cercare una tesi che fosse più vicina possibile ai miei interessi. La scelta è caduta sullo studio degli effetti dei metalli pesanti sugli organismi della laguna veneta, più precisamente sui pesci gatto”. La tesi svolta con un professore che ormai aveva sostanzialmente cessato le sue attività sul campo l’ha costretta a gestire in proprio le ricerche, un’esperienza che si è rivelata fondamentale. “A 20 anni ho dovuto inventare e gestire in completa autonomia un progetto di ricerca, senza aver mai tenuto una provetta in mano in vita mia. Ho passato tre anni a catturare i pesci gatto, ad addormentarli, ad effettuare i prelievi e tutte le analisi necessarie. Una fatica incredibile che si è trasformata in poche pubblicazioni su una rivista scientifica di scarsa importanza del settore ittico”. Dopo la laurea a Padova si è trasferita all’estero, al Basel Institute of Immunology di Basilea, in Svizzera, uno dei migliori istituti di immunologia al mondo. “Qui era tutto facilissimo. Non occorreva fare i salti mortali per qualunque cosa, avevo a disposizione strumenti di altissimo livello. Sotto la guida del professor Antonio Lanzavecchia, in pochi mesi sono riuscita a pubblicare una ricerca su Science”. A 26 anni diventa membro dell’Istituto con un suo progetto di ricerca. Nel 1999 rientra in Italia prima a Roma e, successivamente a Padova, all’Istituto Veneto di Medicina Molecolare. “È stata un’esperienza bellissima ma sentivo il bisogno di lavorare in un ambiente ‘immunologico’, con persone con cui potermi confrontare quotidianamente sui miei dati e sul mio lavoro. Così, quando il professor Mantovani mi ha chiesto di venire a Milano ho accettato immediatamente. Qui le opportunità dal punto di vista della ricerca sono incredibili, questo potrebbe diventare il primo vero grandi istituto di immunologia in Italia”.
Ultimamente l’Embo, L’European Molecular Biology Organization, una delle più importanti comunità scientifiche europee, l’ha premiata con l’EMBO Young Investigator Award e nominata “ambasciatrice” con il compito di diffondere l’idea che la carriera scientifica è un percorso possibile anche per le donne. “È un compito che ho accettato con grande piacere perché sono convinta che sia davvero così. Si può fare questo lavoro senza rinunciare ad avere una famiglia, dei figli. Certo, costa dei sacrifici e, spesso, la sera, quando ho messo a letto i bambini mi rimetto al computer e lavoro fino alla due di notte. Ma, quando si fa un lavoro con grande passione, non è questo il problema”.

Nel dicembre del 2006 The Journal of Experimental Medicine, ha dedicato una copertina alla ricerca che ha svelato i dettagli del meccanismo utilizzato dalla cellule per muoversi. In particolare ha spiegato come e dove i linfociti T, alcune delle cellule del sistema immunitario chiamate a sconfiggere i patogeni invasori, trovano l’energia per “accorrere” sul luogo dell’infezione. Lo studio è stato condotto da Antonella Viola e dal suo gruppo.

Prof.ssa Viola, ci può descrivere la sostanza della vostra ricerca?
“Ci siamo chiesti dove fosse il ‘motore’ della cellula e, in particolare, quale fosse l’azione dei mitocondri nella migrazione cellulare. Si tratta di minuscoli organelli presenti in tutte le cellule che funzionano da vere e proprie ‘centrali elettriche’ trasformando i nutrienti in energia e provvedendo, poi, a immagazzinarla in molecole di Atp, che fungono da ‘accumulatore’. Siamo riusciti a dimostrare che, quando il linfocita riceve il segnale di allarme che lo attiva, i mitocondri si frammentano in porzioni piccolissime e vanno a posizionarsi nella parte posteriore della cellula. Qui generano il ‘carburante’, necessario al movimento”.

Quali potrebbero essere le conseguenze sul fronte clinico?
“Questa scoperta potrebbe generare, in futuro, importanti ricadute terapeutiche sia sul fronte delle infezioni, che su quello dei tumori. Infatti, il nostro gruppo, costituito da 8 donne, ha osservato che lo stesso meccanismo si verifica anche nelle neoplasie, in particolare nella formazione delle metastasi, ovvero nel processo di diffusione delle cellule malate anche negli altri tessuti del corpo. Anche nelle cellule tumorali si verifica la riorganizzazione dei mitocondri e tutto ciò che ne consegue. Ora, in laboratorio, stiamo cercando di trovare il modo di interrompere il segnale chimico che induce i mitocondri a produrre l’energia necessaria alla cellula per spostarsi. Così potremmo avere a disposizione un sistema per bloccare le metastasi. Ma occorre individuare una sostanza in grado di agire i maniera selettiva sulle cellule malate. Evitando soprattutto di interferire con quelle coinvolte nella reazione immunitaria”.

In questo processo hanno un ruolo primario i linfociti T
“I linfociti T sono tra le cellule più importanti della risposta immunitaria adattativa, ovvero di quella parte del nostro sistema di difesa che reagisce alla presenza di un elemento riconosciuto come estraneo all’organismo, e che attiva una serie di processi specifici per distruggerlo. I linfociti sono prodotti dal midollo osseo e, successivamente, nel timo vengono ‘educati’ a riconoscere come amiche le cellule del organismo al quale appartengono. Vengono poi immessi nella circolazione del sangue, in attesa di ricevere un segnale d’allarme che annunci un pericolo, fornisca la localizzazione e l’identikit dell’invasore e inneschi i loro meccanismi offensivi. Questo processo avviene nei linfonodi, dove i linfociti incontrano le cellula che gli fornisce l’antigene con le informazioni sul patogeno che sta attaccando l’organismo. A quel punto il linfocita si attiva, comincia a proliferare, creando ‘cloni’ pronti a combattere quello specifico nemico. Le ‘truppe speciali’ si trasferiscono poi sul luogo dell’infezione, per distruggere gli elementi estranei”.

Di Carlo Falciola

La seconda parte dell’articolo sull’attività della prof.ssa Viola verrà pubblicata il 14 marzo.

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