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Se lo vedo ci credo

04/03/2002

Per qualcuno il mercoledì è un giorno di festa al Museo del Duomo di Milano. I volontari del Vami accompagnano i non vedenti ad accarezzare un desiderio, vedere l’arte con gli occhi della mente. Le dita, sapientemente guidate, sfiorano il marmo di Candoglia allo stato grezzo, scivolano sulle statue che popolavano la cattedrale milanese (oggi collocate al museo per necessità di conservazione), sul volto superbamente bello di San Pietro, sui muscoli in tensione di Sant’Agapito, sui denti di Sant’Apollonia. E l’inconsueto visitatore dice vedo: vedo la lavorazione della materia e l’espressione del volto e le vene di una mano stretta a pugno.
L’arte è universale, incontra proprio tutti, arriva ad oltrepassare il buio di un occhio non vedente e raggiunge la mente con la sua linfa vitale.
Tutto questo è possibile grazie all’appassionata attività di un gruppo di lavoro del VAMI (Volontari Associati per i Musei Italiani). Ne abbiamo parlato con Anna Targetti, coordinatrice del gruppo attivo al Museo del Duomo di Milano.

Cos’è il Vami?
Si tratta di un’associazione di volontariato nata a Milano nel 1978 – poi estesa anche a Firenze e a Roma – allo scopo di far conoscere i musei e favorirne la frequentazione. Dal ’96 si è creata una federazione: ogni associazione ha un’amministrazione e un presidente propri. A Milano il presidente è Alberica Trivulzio. I gruppi di lavoro si dividono tra il Museo del Duomo, la Pinacoteca di Brera, dove si fanno visite guidate, maieutica per i bambini, catalogazione e accoglienza del pubblico; il Castello Sforzesco, dove esistono una sezione agli arazzi, una alla pinacoteca e poi ancora alla Galleria d’Arte Moderna e ai giardini. Al museo Messina e al Diocesano facciamo accoglienza e informazione.

Com’è nata l’idea di accogliere i non vedenti al museo?
Nell’82 si è deciso che un gruppo si dedicasse agli handicappati. L’ambito è vastissimo, perciò nell’84 si è intervenuti nei confronti dei non vedenti, sull’esempio di esperienze già collaudate all’estero. Al Louvre, per esempio, si trova una sezione dove i non vedenti toccano i calchi delle opere conservate al museo. Anche in Italia esistono due musei tattili per non vedenti, a Bologna e ad Ancona, ma il pubblico tocca riproduzioni di opere d’arte. Noi siamo stati ambiziosi, volevamo che il pubblico toccasse gli originali. Il direttore del Museo del Duomo di Milano, l’architetto Ernesto Brivio, ha accolto la nostra proposta e ha collaborato alla realizzazione del progetto. Il museo milanese si presta in modo particolare perché è facilmente raggiungibile, non presenta barriere architettoniche e conserva opere originali. Si è creato un team di lavoro, che comprende anche una tiflologa e un’insegnante non vedente dell’Istituto dei Ciechi, le quali hanno spiegato i problemi dei non vedenti, hanno insegnato il linguaggio da utilizzare (i non vedenti dicono “vedo”), il ‘galateo’ di accompagnamento e la metodologia per le visite tattili. Insieme abbiamo scelto le 18 opere del percorso guidato, un excursus che comprende sculture dal XIV al XX secolo. Abbiamo quindi redatto schede didattiche per gli accompagnatori che raccolgono informazioni su autore, epoca storica, soggetti, immagini, tecnica, materiali.

Come si svolge una visita guidata?
Noi riceviamo il visitatore, lo accogliamo fornendoli informazioni: gli facciamo toccare una piantina termoformata in rilievo, che consente di seguire con le dita il percorso del museo grazie ad una riga cordonata che si snoda per le sale. Vi sono anche numeri in braille che trovano riferimento nella legenda, così il visitatore sa con esattezza cosa vedrà e dove. Quando la visita inizia egli ha già un’idea del percorso. In ogni sala si affrontano tre fasi in successione: fase anticipatoria (la sala è piccola, è grande, ne ascoltiamo la sonorità), descrittiva (la sala contiene poltroncine, finestre, porte…) e infine partecipativa (il visitatore diventa protagonista, tocca, si impadronisce dello spazio, vede). Concluso il percorso si passa alla fase evocativa: si torna indietro e si commentano le cose viste in modo che si fissino nella memoria.

Le reazioni dei visitatori?
Sono sempre positive, non tanto perché ci dicono “che bello!” (per forza, siamo stati insieme un’ora e mezza, a stretto contatto, la disponibilità dell’accompagnatore è totale), ma perché pongono molte domande, sono incuriositi. Questo è un riscontro importante per la metodologia di accompagnamento che abbiamo approntato: usiamo termini semplici, non parliamo più del necessario, descriviamo l’opera cercando di provocare reazioni e rispettiamo i tempi di riflessione del visitatore, che si deve impadronire tattilmente di ciò che ha visto e ascoltato, rinforzando la memoria. Non è un processo facile. Dobbiamo valutare il livello di lettura adatto ad ogni individuo: non tutti possiedono la medesima tattilità, alcuni l’hanno esercitata a scuola o in famiglia, altri no. Molti sono ciechi dalla nascita, altri sanno cos’è la luce. In ogni caso noi ci comportiamo come se il visitatore non avesse mai avuto il dono della vista, poiché la memoria può essere ingannevole per coloro che l’hanno persa.
Quando conduciamo la mano, alcuni arrivano da soli a sentire i particolari, altri vanno guidati maggiormente. Dobbiamo considerare che ognuno ha il proprio patrimonio culturale e molti non hanno l’abitudine al museo. Dobbiamo comunque fornire una base di informazioni uguale per tutti, sottolineando che il museo è un bene comune, ogni persona deve poterne fruire.

Senza la luce che arriva alla retina, il cervello umano è in grado di comporre un’immagine?
Certamente. Ho fatto la stessa domanda a una donna non vedente e la risposta è stata “..ho un’immagine chiarissima della tua persona, del tuo volto. Me la sono fatta per come ti muovi, per come parli, dalla tua voce..”. Di certo colgono la differenza tra un volto, un corpo e un’architettura..

E per quanto riguarda il colore?
Il colore è un’informazione, per un cieco è un’esperienza cognitiva, non sensitiva. Egli è informato sul colore, sulle differenze tra colori primari e secondari ma non può percepirne la differenza. Eppure, pensi, alcuni non vedenti ci hanno chiesto di vedere i quadri. Nel ’96 abbiamo consultato alcuni esperti, abbiamo costituito un comitato scientifico per verificare questa possibilità e ora organizzano visite guidate alla Pinacoteca di Brera. Di grande aiuto è stato il contributo di un tiflologo non vedente, Luca Bergamaschi, e dell’architetto Beatrice de Bernardi, che ha approntato i diagrammi in rilievo delle opere d’arte (stampati dall’Associazione Libro Parlato di Milano e depositati alla SIAE, ndr). D’accordo con il dott. Pietro Petraroia (Direttore Generale Cultura Regione Lombardia, ndr), abbiamo scelto un percorso con alcuni capolavori del Rinascimento. La difficoltà sta nel fatto che il quadro rappresenta uno spazio tridimensionale su di un piano bidimensionale. Se io mostro un quadro ad un non vedente lui deve vedere ciò che sa, ciò che noi gli raccontiamo. Non ha senso descrivere solo il dipinto, non costituisce l’accesso all’arte, sarebbe come leggere un libro. Noi vogliamo che il visitatore si impadronisca dell’insieme dell’opera, delle differenze stilistiche, delle caratteristiche di un autore, spieghiamo cos’è la prospettiva. Per fare questo ci sediamo di fronte all’opera e, con un lessico semplice (non possiamo dire ‘l’ombra cade sul volto..’), utilizzando concetti che fanno parte del suo bagaglio culturale, cerchiamo di costruire con lui un’immagine mentale accurata e permanente. Descriviamo l’iconografia, spieghiamo l’iconologia, la forma e la disposizione dei personaggi. Infine, gli si mostra un album in rilievo che può toccare, sentire, con alcuni diagrammi di verifica: le varie parti della composizione dipinta sono puntinate in modo diverso proprio per dare la possibilità al non vedente di costituirsi quella famosa ‘immagine mentale’, grazie a un continuo richiamo a ciò che è stato detto di fronte al quadro.

Che tipo di memoria possiedono i non vedenti?
Hanno una memoria che funziona al contrario rispetto a chi vede. Noi attiviamo una memoria sintetica: vediamo l’insieme e poi passiamo all’analisi. I non vedenti hanno una memoria analitica. Per questo motivo siamo in grado di affrontare solo due quadri per ogni visita: dobbiamo strutturare passo dopo passo la visione dell’insieme, procedere con i valori compositivi in pianta, passare al particolare di volti, teste, alle parti accessorie del quadro. E’ un lavoro lento e impegnativo ma che dà grandi soddisfazioni: noi verifichiamo costantemente quale importanza rivestano per i non vedenti queste visite al museo. E’ importante aprire loro il mondo dell’arte, si stimolano nuovi interessi, si sollecitano valori quali l’autonomia, la conoscenza, l’uguaglianza.

Qual è il futuro per esperienze del genere?
Già il presente è fitto di impegni, di studi, di iniziative. Recentemente abbiamo partecipato a convegni su questi temi a Parigi (Ottobre 2001), a Firenze (novembre 2001) e a Torino (dicembre 2001). Prossimamente presenteremo alla stampa le iniziative milanesi. Anche a Firenze sono attivi alcuni gruppi di lavoro del VAMI per i non vedenti e precisamente al Museo dell’Opera del Duomo e al Museo Marino Marini. A Roma ci sono due sezioni, al Museo Gregoriano Profano e ai Musei Vaticani.

Come fare per accedere ad una visita guidata?
A Milano la sede del VAMI è in via Bigli 19. Occorre sempre prenotare per seguire una visita guidata, telefonando al numero 02/76022152 o scrivendo all’indirizzo di posta elettronica vami.milano@katamail.com

A cura di Silvia Merico

Humanitas Salute e l’Arte
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