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La mia Africa

16/12/2005

Saint Luke Catholic Hospital and College of Nursing, Wolisso, Southwest Shoa. Siamo nella regione dell’Oromia, in Etiopia, uno dei paesi più poveri al mondo, dove oltre l’80% della popolazione vive con meno di un dollaro al giorno. In questo ospedale, a 150 chilometri da Addis Abeba, il dottor Adriano Rizzi si è trovato quasi per caso nell’estate 2004, quando era in Etiopia per una visita turistico-culturale. “Sono rimasto sorpreso dall’efficienza operativa, organizzativa e sanitaria – racconta il responsabile dell’Unità Operativa di Chirurgia Toracica di Humanitas Gavazzeni – nonostante l’esiguità del personale e dei mezzi a disposizione: una sola apparecchiatura radiologica, una per le ecografie e due sale operatorie molto essenziali”.
L’ospedale ha circa 130 posti letto ed è divenuto un punto di riferimento per una popolazione di oltre un milione di abitanti sparsi nella savana circostante. Ogni anno vi vengono effettuate più di 42 mila visite, 11 mila vaccinazioni e 5 mila controlli prenatali, un migliaio di interventi di chirurgia e più di 1.000 parti.
Lo staff medico è composto principalmente da italiani affiliati al CUAMM (www.mediciconlafrica.org): alcuni di loro operano stabilmente nell’ospedale di Wolisso, come il 42enne bergamasco Fabio Manenti, primario chirurgo e direttore sanitario del Saint Luke Catholic Hospital. Altri, come il dottor Rizzi, sfruttano le proprie ferie per prestare qui la loro opera. “L’ospedale – spiega il dottor Rizzi – è strutturato in diversi padiglioni, uniti fra loro da passatoie coperte, in modo tale da essere riparate dalla pioggia. Quando arrivano i monsoni, altrimenti, diventerebbe impossibile spostarsi senza venire ricoperti dal fango.
Nel Saint Luke Catholic Hospital, come in molte altre zone dell’Africa, viene applicata una medicina molto essenziale, e con poco si ottengono grandi risultati. In Italia un chirurgo toracico come me tratta soprattutto patologie degenerative o neoplastiche con risultati che spesso hanno effetti nel medio o lungo periodo. In Africa (come è facile intuire) è tutto molto diverso: ogni operazione appare quasi un miracolo per il paziente. Per questo sono convinto che andare in Etiopia durante le vacanze è un regalo che faccio più a me stesso che alla gente del posto. Mi dà entusiasmo, mi sento molto arricchito da questa esperienza sul piano culturale e spirituale. Arricchito dalla semplicità”.
Anche il figlio del dottor Rizzi, Michele, studente di medicina, ha seguito le orme del padre non solo nel suo corso di studi, ma anche nella passione per l’Africa: durante la scorsa estate ha avuto infatti occasione di mettere a frutto le sue conoscenze in Etiopia a fianco del padre.

Di Marco Parisi

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