Un infermiere in prima linea

Collabora con l’organizzazione Medici Senza Frontiere dal 2000, dopo un’esperienza di un anno con Emergency. Ha partecipato a diverse missioni umanitarie: in Somalia, in Afghanistan e Mozambico, in Angola e in Burundi. Mirko Neri, infermiere del Blocco Operatorio generale di Humanitas dall’ottobre del 2001, ha nel sangue la passione per il diritto alla salute.

“Una volta all’anno Humanitas – spiega – mi concede un’aspettativa di circa sei mesi, ed io in cambio garantisco, al mio rientro, una permanenza in ospedale di un anno. Per me è perfetto: in questo modo riesco a conciliare lavoro e missioni umanitarie.
Sarei dovuto partire di nuovo nel prossimo marzo, ma data l’emergenza che si è verificata in Asia mi sto organizzando per partire al più presto. Al momento la mia associazione sta ancora valutando e decidendo chi mandare, dove inviarlo, e per fare che cosa.
In realtà Medici Senza Frontiere ha delle liste di personale sempre pronto a partire per le emergenze. Si tratta però di squadre piuttosto piccole, di due-tre persone, che all’occorrenza si recano dove c’è bisogno in esplorazione, e valutano le diverse necessità. In questo caso, date le enormi proporzioni del sisma che si è abbattuto sull’Asia, e visto che i Paesi colpiti sono diversi, ci sarà bisogno di molto personale”.

Le missioni umanitarie
In missione le attività da svolgere sono sempre diverse. “Dalla riapertura di un ospedale chiuso da tempo, come ad esempio in Somalia – ricorda Mirko Neri – alla gestione di un centro per la cura del colera (a Mogadisho); dall’organizzazione di un campo profughi alla gestione di una campagna di vaccinazione contro il morbillo in Afghanistan o di vere e proprie emergenze nutrizionali legate alle carestie in Angola. Noi infermieri difficilmente riusciamo a continuare la nostra professione, come invece accade ai medici. Assumiamo più un ruolo di coordinamento degli aiuti e delle risorse. Il nostro compito principale è cercare di dare una ‘catena di comando’ alle strutture, coordinare l’approvvigionamento dei materiali, la logistica. Per questo affianchiamo la popolazione locale e cerchiamo di ‘formarla’ in modo tale da lasciare, alla fine della missione, gente autonoma, in grado di portare avanti il lavoro da noi iniziato. Credo che questo sia il modo migliore per aiutare la gente del posto.
Diverso è quando ci si trova a tu per tu con i danni provocati da una catastrofe naturale: mi è capitato in Mozambico, dopo una violentissima alluvione. In questi casi innanzitutto si cerca di fornire acqua potabile alla popolazione organizzando una struttura logistica che sia il più possibile efficiente. Poi ci si occupa della gestione, dal punto di vista sanitario, dei campi profughi, attraverso l’organizzazione di ambulatori e cliniche mobili che siano in grado di stabilizzare i pazienti critici per poi smistarli verso i centri più attrezzati nelle grandi città. Credo sia quello che ci aspetta anche in Asia, anche se una catastrofe di queste proporzioni non ha precedenti”.

Una scelta coraggiosa
Ma che cosa ha spinto Mirko a legarsi a Medici Senza Frontiere? “Le motivazioni alla base di quella che per me è, almeno in parte, una scelta di vita, sono tante. Prima fra tutte, sicuramente, l’interesse e la voglia di fornire un’assistenza sanitaria in stile diciamo ‘occidentale’, a popolazioni più povere e sfortunate. Sono profondamente convinto che la sanità sia un diritto, e dunque è fondamentale estenderlo a tutti. E poi, di fronte alle immagini che si vedono in TV in questi giorni non si può certo restare impassibili…”.
E ora, alle soglie della partenza verso luoghi duramente provati, che cosa si aspetta di trovare?
“Senza dubbio una situazione molto difficile. Il problema è ancora più grave di quanto possa sembrare a prima vista, perché il sisma ha colpito realtà povere e problematiche, ad esempio l’Indonesia o lo Sri Lanka, dove c’erano già zone non accessibili alle organizzazioni umanitarie a causa delle guerriglie in atto. Ora anche quel minimo sistema sanitario e di gestione logistica di acqua e cibo che era stato creato con tanta difficoltà è stato letteralmente spazzato via. Bisognerà ricominciare tutto da capo. Come prima cosa dall’acqua potabile, per evitare infezioni ed epidemie di colera che in questo momento sarebbero difficilmente curabili data la scarsità di risorse sanitarie”.

Di Monica Florianello

Redazione Humanitas Salute: