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Missione: educazione sanitaria

10/06/2005

Dopo la Somalia, l’Afghanistan, il Mozambico, l’Angola, il Burundi e l’Asia, Mirco Neri è partito per una nuova missione umanitaria con “Medici senza Frontiere”. Questa volta la meta del suo viaggio, lungo 6 mesi, è il Congo. Sfide e progetti di un infermiere del Blocco Operatorio di Humanitas, che dal 2000 – al fianco di Medici Senza Frontiere – ha messo la sua professione al servizio di migliaia di persone più povere e sfortunate.

Dopo sei mesi dal ritorno della tua missione in Asia, sei di nuovo in partenza. Nostalgia?
“Un po’ sì. La mia è una scelta di vita. Sono profondamente convinto che la sanità sia un diritto, e dunque è fondamentale estenderlo a tutti. Il nostro tentativo è fornire un’assistenza sanitaria in stile diciamo ‘occidentale’, a popolazioni più povere e sfortunate. Una volta all’anno Humanitas mi concede un’aspettativa di circa sei mesi, ed io in cambio garantisco, al mio rientro, una permanenza in ospedale di un anno. Per me è perfetto: riesco a conciliare lavoro e missioni umanitarie”.

Questa volta la tua meta è l’Africa, il Congo.
“Precisamente Walikale, vicino a Goma. Raggiungo altre tre persone di Medici Senza Frontiere per seguire un progetto finanziato dal Ministero della Salute congolese. L’obiettivo primario è la gestione dell’ospedale locale, da un punto di vista sia amministrativo sia sanitario.
Inoltre, ci occuperemo di coordinare alcuni piccoli ‘centri salute’ sparsi nel territorio limitrofo, chiamati ‘Health Center’ ed ‘Health Post’. Sono come piccoli ambulatori di paese, i primi leggermente più grandi dei secondi. Questi centri sono l’interfaccia più vicina alla popolazione locale, soprattutto in zone remote e difficilmente raggiungibili. I casi più gravi che arrivano vengono poi mandati all’ospedale distrettuale.
Il secondo scopo di questa missione è preparare la popolazione locale alle emergenze. La Repubblica Democratica del Congo è ancora una zona ‘calda’ dell’Africa, dove spesso si riaccendono numerosi conflitti. Inoltre, è una regione ancora soggetta ad epidemie e febbre malarica”.

Porterete dunque conoscenze professionali ed aiuti umanitari.
“Noi educhiamo non solo gli operatori sanitari, ma soprattutto la popolazione locale. Quando un’associazione se ne va, spesso lascia dietro di sé il tanto bene fatto, ma nessuno che sia in grado di continuare a farlo. E’ fondamentale invece che le persone del posto imparino come comportarsi in caso di febbre malarica o di epidemia, o, meglio ancora, come fare per evitare il contagio. Bisogna formare chi poi resterà nel Paese e potrà di volta in volta diffondere queste conoscenze.
Questo è un modo per affiancarsi alla popolazione locale, senza pretese di superiorità, ma camminando insieme verso il comune obiettivo della condivisione della salute”.

Ci diamo appuntamento al tuo ritorno? Avrai molte cose da raccontarci…
“Senz’altro. Vi manderò qualche corrispondenza anche dal Congo”.

Di Laura Capardoni

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