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Graziotti: prostata, evitiamo di farne “un tormentone”

23/06/2006

“La prostata è l’unico organo in biologia umana interessato sia da una malattia benigna frequente come l’ipertrofia, sia dal cancro: quello della prostata rappresenta infatti la seconda causa di morte per tumore nel maschio. Ma questo non giustifica il fatto che tali problemi siano diventati un vero e proprio “tormentone” di cui discutere al bar”. Il prof. Pierpaolo Graziotti, responsabile dell’Unità Operativa di Urologia di Humanitas, polemizza con i mezzi di informazione, e un po’ anche con i medici, che hanno trasformato un disturbo spesso banale in un’ossessione per gli uomini che hanno più di 60 anni.

Prof. Graziotti, come mai la prostata è diventata una “moda”?
“Credo che se fossi un 55enne non ‘addetto ai lavori’, sarei quantomeno preoccupato, se non terrorizzato. Buona parte della colpa è di come i media, che peraltro traggono le notizie da interviste a noi specialisti, parlano di un argomento di così facile presa sull’immaginario di un uomo. Spesso le informazioni sono caratterizzate da sensazionalismo ed enfasi e il modo in cui l’ipertrofia prostatica, una patologia per lo più banale, viene percepita dal paziente lo porta a rivolgersi con tono allarmato al suo medico o allo specialista. Devo dire tra l’altro che Internet aiuta a confondere le idee e contribuisce a ingenerare ansia.
Nella pratica clinica quotidiana accade più o meno questo: il sessantenne tipo, da poco in pensione, si presenta in ambulatorio tutt’altro che tranquillo e dice: ‘Ho la prostata ingrossata, pensi dottore, mi hanno detto che ha un volume doppio del normale’. Spiegargli che questo dato anatomico, non di rado riscontrato occasionalmente con un’ecografia eseguita per altra ragione, ha di per sé un significato molto relativo è tutt’altro che facile”.

Qual è l’approccio giusto da parte del medico?
“In un’era tecnologica anche noi medici, purtroppo, siamo portati ad anteporre il parametro biochimico o l’indagine iconografica al dialogo con il paziente. Parlargli con calma sarebbe spesso l’unica cura necessaria a risolvere il problema e a tranquillizzarlo. Ho avuto modo di osservare che talvolta siamo noi specialisti a fare discorsi del tipo: ‘Sa, lei ha una prostata molto voluminosa, prima o poi le darà problemi, veda lei se tenersela o toglierla’.
Un’affermazione tanto capziosa non tiene conto che un aumento del volume della ghiandola è una conseguenza quasi inevitabile della vecchiaia allo stesso modo della calvizie, l’incanutimento, la presbiopia e, se è vero che la maggior parte dei pazienti ha con il tempo una lenta progressione dei sintomi, è altrettanto incontestabile che ciò non succede a tutti. Non tutti richiedono infatti un intervento chirurgico, tanto che la maggior parte degli uomini muore con il proprio adenoma prostatico esattamente come chi ha l’ipertensione, il diabete alimentare, l’artrosi della colonna cervicale, la stipsi, eccetera”.

I disturbi alla prostata quindi non sono necessariamente legati alle sue dimensioni?
“Esattamente. Sono ormai molti e autorevoli gli studi che dimostrano come non vi sia alcuna correlazione tra le dimensioni della ghiandola e i disturbi soggettivi. Come del resto non esiste alcun fattore prognostico, a parte ovviamente casi limite, che possa predire che quel singolo paziente andrà incontro ad una ritenzione acuta di urina. Va precisato inoltre che tale complicanza, per quanto temuta e indesiderata, non equivale a un infarto del miocardio o a un ictus cerebrale, ambedue situazioni cliniche con possibili esiti letali. Si tratta semplicemente dell’incapacità di urinare, problema risolvibile in qualsiasi momento con un semplice catetere”.

Per quanto riguarda la terapia, quali sono gli aspetti più importanti da tenere presenti?
“A conferma di quanto suggeriscono le linee guida nazionali ed internazionali, che esprimono l’opinione della maggior parte degli esperti, ciò che deve orientare la terapia non sono tanto le dimensioni della prostata, quanto i disturbi che questa provoca al paziente, condizionandone negativamente la qualità della vita. Nel rispetto di ciò, è quel preciso malato che dobbiamo curare, non la sua ecografia o le sue eventuali altre indagini risultate alterate. Il trattamento deve essere come un abito confezionato su misura, non una terapia standardizzata. Il paziente vuole la garanzia di stare meglio, vuole che gli togliamo il disturbo che lo angustia, non un trattamento formalmente corretto che può lasciarlo tale e quale a prima o quasi”.

Di Cristina Bassi

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