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Ellis e Osterloh: i primi dieci anni del Viagra

08/07/2008

La “pillola blu” compie 10 anni. Ma come è nata? Quanto è efficace? E può essere rischioso assumerla? Gli scienziati Peter Ellis e Ian Osterloh ricostruiscono la storia della scoperta e dello sviluppo di uno dei farmaci più celebri al mondo. Il primo farmaco orale per la terapia della disfunzione erettile è stato messo a punto a Sandwich, in Inghilterra, nei laboratori della Pfizer. In realtà, il percorso del sildenafil, molecola che costituisce il principio attivo del Viagra, è iniziato molti anni prima, sempre in questi laboratori, con obiettivi completamente diversi. Peter Ellis e Ian Osterloh, due degli scienziati protagonisti di questa avventura, ricostruiscono la storia della scoperta e dello sviluppo di uno dei farmaci più celebri al mondo, negli anni seguito da altri simili – come Cialis e Levitra – messi in commercio da ditte farmaceutiche diverse.

“Sono arrivato a Sandwich nel 1981 con un Phd in farmacologia – racconta il dott. Peter Ellis, che oggi si occupa del coordinamento del processo di sviluppo dei farmaci della multinazionale – e mi sono unito al gruppo che si occupava della ricerca di soluzioni terapeutiche per lo scompenso cardiaco. In particolare i nostri sforzi erano concentrati sui meccanismi di controllo del guanosin monofosfato, una molecola coinvolta nel rilassamento della muscolatura liscia, compresa quella delle pareti dei vasi sanguigni. Nella regolazione della contrazione di queste cellule muscolari è determinante una famiglia di enzimi (fosfodiesterasi). La nostra idea era inibirne l’azione e indurre, così, un rilassamento della muscolatura liscia dei vasi e la conseguente diminuzione della pressione. Le ricerche condotte tra il 1986 e il 1989 ci hanno consentito di restringere il campo all’enzima 5-fosfodiesterasi. Avevamo messo a punto un composto chiamato UK-92,480 che inibiva la sua azione, provocava vasodilatazione, impediva l’aggregazione piastrinica e la riformazione di trombosi nelle arterie danneggiate. Ci domandammo, dunque, a quale patologia potevano giovare maggiormente questi fenomeni. La risposta fu l’angina”.

Primo obiettivo: l’angina pectoris
L’angina pectoris è quel fenomeno di violenti dolori toracici che si manifesta a causa di un’insufficiente ossigenazione del cuore, provocata in genere dallo scarso afflusso di sangue dalle coronarie. È un problema che solo in Italia riguarda il 3,5% degli uomini e quasi il 4% delle donne tra i 40 e i 75 anni . I ricercatori di Sandwich intravidero immediatamente la possibilità di avere una nuova molecola utile a un numero rilevante di pazienti.
“Nel 1989 venne avviato un programma specifico per lo sviluppo di un farmaco per il trattamento dell’angina – prosegue Ellis – e nel 1991 il composto fu assunto da un volontario sano, durante uno studio tossicologico. Nel 1992 iniziammo a condurre i test clinici con i pazienti in ‘doppio cieco’ (ovvero con distribuzione della sostanza e del placebo, senza che né il medico né il paziente sappiano chi assume l’una o l’altra cosa). Le persone assumevano il composto 3 volte al giorno, per garantire una copertura di 24 ore, vista la sua scarsa permanenza nell’organismo. Vennero riscontrati alcuni effetti collaterali come mal di testa, rossore al viso, qualche dolore muscolare. Ma la cosa più curiosa era il fatto che la maggior parte dei pazienti riportarono il fatto di avere erezioni frequenti. Sul fronte dell’angina ci rendemmo conto subito che il farmaco non forniva il risultato che ci aspettavamo. Ma questo riscontro così ampio sull’erezione ci indusse a cambiare strada, e nel 1993 nacque il programma sulla disfunzione erettile”.

Gli studi clinici per il trattamento della disfunzione erettile
Proprio in quel periodo, tra la metà degli anni ‘80 e l’inizio degli anni ‘90, uscirono diverse pubblicazioni scientifiche sui meccanismi fisiologici che controllano l’erezione. In particolare nel 1992 il New England Journal of Medicine pubblicò una ricerca sul ruolo dell’ossido nitrico. In sostanza, lo stimolo erotico nel cervello provoca la liberazione di neurotrasmettitori che hanno una serie di conseguenze a livello locale. Tra queste c’è il rilascio di ossido nitrico, che oltrepassa le membrane delle cellule e trasforma il guanosin monofosfato in guanosin monofosfato ciclico. Questo fenomeno provoca il rilassamento dei muscoli lisci dei corpi cavernosi, uno dei tessuti di cui è costituito il pene. In questo modo i corpi cavernosi si possono riempire di sangue e consentono l’estensione e l’aumento di volume dell’organo maschile. Dunque, l’erezione si verifica per l’alta concentrazione di guanosin monofosfato ciclico. Successivamente interviene un enzima, la 5-fosfodiesterasi, che degrada il guanosin monofosfato ciclico, provoca una contrazione dei muscoli e la conseguente perdita dell’erezione. Il composto identificato dai ricercatori di Sandwich interviene proprio a questo punto del meccanismo: impedisce alla 5-fosdodiesterasi di eliminare guanosin monofosfato ciclico, mantenendone alta la concentrazione e favorendo, quindi, il prolungarsi dell’erezione.
“Negli uomini con una disfunzione erettile – spiega Ellis – possono esserci delle componenti psicologiche, organiche o entrambe. Un problema psicologico può ridurre lo stato di eccitazione: quindi a una minore stimolazione nervosa corrisponde anche un rilascio inferiore di ossido nitrico. La stessa riduzione può essere causata anche da fenomeni organici, come i problemi cardiovascolari. La nostra idea, a questo punto, era sfruttare al massimo l’ossido nitrico rilasciato dall’organismo, anche se in dosi minime. Il nostro composto avrebbe potuto potenziare il suo effetto e farlo durare più a lungo”.

Gli studi clinici iniziarono alla fine del 1993, con piccoli gruppi di 16 pazienti, sotto la direzione del dott. Ian Osterloh: “Abbiamo scelto volontari con un problema erettile di origine psicogena, in modo che eventuali anomalie organiche non interferissero, rendendo più difficile la lettura dei dati. I risultati furono subito eclatanti e la differenza tra le persone trattate con il farmaco e il placebo evidentissima. Con il dosaggio da 50 mg si verificavano erezioni con una rigidità dell’80%. Dal 1994 al 1995 si svolsero le ricerche cliniche della Fase 2, sempre su pazienti con disfunzione di origine psicogena. Vennero calibrati i dosaggi e le risposte positive ottenute furono vicine al 90% dei pazienti, un risultato rarissimo in uno studio clinico di questo genere. Nel 1995 la Fase 3 delle prove cliniche divenne una ricerca globale, nella quale furono coinvolti pazienti con tutte le tipologie di disfunzione erettile, sia psicogena sia dovuta a serie problematiche organiche come il diabete di tipo 2 o la prostectomia. Fu un’ulteriore conferma dell’efficacia del composto. Non solo, ci trovammo di fronte al fatto che i pazienti non volevano smettere il trattamento”.

Un farmaco rivoluzionario
Nei primi anni ’80, quando il programma sugli inibitori della fosfodiesterasi era ancora agli albori ed aveva ben altri scopi, il problema della disfunzione erettile era considerato prevalentemente psicologico ed affrontato con difficoltà dai pazienti, che raramente trovavano il coraggio di parlarne, e perfino dai medici che avevano pochi strumenti terapeutici a disposizione. Nei primi anni ’90 la situazione migliorò: aumentarono le ricerche sull’argomento e si arrivò a comprendere che un terzo dei deficit è di origine psicologica, un terzo organica e un terzo è la combinazione dei due fattori.
“In ogni caso – ricorda Osterloh – era un problema che un uomo era disposto a riconoscere con difficoltà anche con se stesso, figuriamoci rivolgersi a uno specialista. Peraltro le terapie a disposizione erano poche e molto invasive, in sostanza iniezioni dirette nel pene. C’era chi, pur di non affrontare il problema, smetteva di tentare di avere rapporti sessuali. Per questo l’avvento di una pillola in grado di risolvere il disturbo nella maggior parte dei casi fu veramente un fatto straordinario”. “Nella mia vita ho assistito probabilmente a due rivoluzioni sessuali – aggiunge Peter Ellis – la prima negli anni ’60, quando la pillola contraccettiva ha contribuito ad aumentare la libertà sessuale femminile. La seconda alla fine degli anni ’90, quando l’avvento del Viagra ha incoraggiato molte persone, con seri problemi sessuali, ad uscire allo scoperto e ha fornito loro un’opportunità per risolverli”.

Il 27 marzo del 1998 arrivò l’approvazione della Federal Drug Administration e il 14 settembre dello stesso anno quella dell’EMEA, l’Agenzia Europea per i Medicinali. Da allora il sildenafil ha compiuto una lunga strada. Distribuito in 120 Paesi, ha superato ormai il miliardo e mezzo di pillole vendute, per un totale di oltre 27 milioni di pazienti in tutto il mondo. L’uso prolungato in tutti questi anni non ha fatto registrare nessun effetto negativo. Anche alcuni allarmi, arrivati sulle pagine dei giornali, non si sono dimostrati di sufficiente rilievo scientifico per mettere in discussione la validità del farmaco. Come qualche mese fa, quando ci fu una segnalazione dell’FDA sui rischi di una potenziale perdita di udito tra gli utilizzatori di questa classe di farmaci. La casistica, in realtà, riguardava una trentina di pazienti in età avanzata a livello globale. Oppure la recentissima notizia, riportata dal britannico Observer, che citava uno studio della Queen University a Belfast, secondo il quale il Viagra potrebbe influenzare negativamente la fertilità maschile. In realtà, gli stessi andrologi italiani hanno espresso perplessità e cautela sui risultati, ottenuti con un dosaggio altissimo del farmaco e con un esperimento in provetta, mentre già in passato altri studi sull’argomento avevano fugato i dubbi in proposito.

Di Carlo Falciola

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