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Tumore alla mammella: una donna su quattro lascia il marito

10/06/2015

Il 25% delle 400 mila italiane guarite dal tumore alla mammella ha chiesto la separazione perché il coniuge si è dimostrato “inadeguato” ad affrontare le difficoltà della gestione della malattia e di tutti i cambiamenti che questa a livello familiare e quotidiano comporta. Il dato emerge dalle stime fornite dal progetto “Ho vinto io”, promosso dalla Fondazione Aiom (Associazione italiana di oncologia medica), che raccoglie le testimonianze di ex malate di tumore al seno che sono riuscite a sconfiggere la malattia, risalente ormai a cinque anni fa. “Uno studio non recente ma comunque molto significativo, dal momento che il tema delle ripercussioni del tumore alla  mammella sulla relazione di coppia è noto da tempo ma è stato, finora, poco studiato, e sta conoscendo proprio in questi ultimi anni una crescita di interesse legata all’aumento dell’incidenza di questa malattia nelle donne giovani con meno di 50 anni di età”, spiega Corrado Tinterri, Direttore della Breast Unit dell’Istituto Clinico Humanitas di Rozzano (Milano).

Guarire significa lasciarsi alle spalle le cose che non funzionano più

Dallo studio promosso dall’Aiom emerge che per le ex malate di tumore alla mammella ricominciare a vivere, dopo mesi di agonia e angoscia, spesso vuol dire lasciarsi alle spalle molte cose tra cui anche il marito, se le cose non funzionano più. In particolare, poi, “quando sussiste una pre-esistente situazione di incomprensione di coppia, questa rappresenta un fortissimo fattore di rischio alla separazione dopo la comparsa di un cancro al seno – continua Tinterri -. Tutti gli studi presenti in letteratura raccomandano di non sottovalutare queste situazioni di disagio e di rivolgersi a psico-oncologi o psicologi di coppia; purtroppo poco viene fatto nell’ambito del sistema sanitario per arginare queste situazioni di disagio che emergono nelle donne che si ammalano di tumore e anche nelle ‘survivors’ che da questo punto di vista sono spesso abbandonate sotto questo profilo nei percorsi diagnostico-terapeutici in oncologia”.

L’importanza della psico-oncologia (e non solo)

Diversi studi condotti sull’argomento hanno messo in evidenza che solo il 15% delle donne riferisce la disponibilità di rivolgersi a specialisti del settore per parlare di questi problemi, indipendentemente dal livello di istruzione. “Il tema della qualità della vita durante e dopo l’esperienza del tumore al seno fortunatamente in questi decenni è cresciuto molto nello scenario terapeutico di questa malattia. La particolare attenzione che la chirurgia senologica oggi dedica alla conservatività e agli esiti della terapia ha modificato i percorsi e le indicazioni soprattutto in quei centri di diagnosi e cura in cui lavora personale dedicato al tumore della mammella; la necessità di garantire a tutte le donne che si ammalano di cancro al seno la disponibilità di avere a disposizione equipe dedicate e servizi specifici come la psico-oncologia, il nursing e il fertility-center riduce sensibilmente, oltre al rischio di morire, lo sviluppo di problematiche anche importanti a livello psicologico e affettivo-relazionale, fondamentali per mantenere una soddisfacente qualità di vita”, conclude Tinterri.  

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