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Prevenzione e ricerca per combattere il tumore al seno

04/06/2007

Il carcinoma della mammella localmente avanzato è una neoplasia di dimensioni superiori ai tre centimetri abbastanza frequente, nonostante gli sforzi fatti dalla medicina in termini di prevenzione e diagnosi precoce. Il trattamento di questa malattia coinvolge diverse figure (radiologo, biologo, anatomopatologo, chemioterapista, oncologo, chirurgo, radioterapista), perché la cura comprende più fasi. La prima è la diagnosi, attraverso le tecniche di Imaging (per immagini) e la biopsia, poi si passa al trattamento preoperatorio con alcuni cicli di chemioterapia neoadiuvante o primaria nell’intento di ridurre le dimensioni del tumore. In questo modo si cerca di procedere a un intervento chirurgico che conservi la mammella.
Quello del carcinoma della mammella localmente avanzato è un argomento ancora poco trattato. Per questo Humanitas Centro Catanese di Oncologia ha organizzato per venerdì 8 giugno un corso di aggiornamento nazionale dedicato a tutte le figure professionali implicate nel processo terapeutico. I promotori dell’incontro sono il dott. Michele Caruso, responsabile dell’Unità Funzionale di Oncologia Medica, e il dott. Francesco Pane, responsabile della Diagnostica Senologica. Partecipano tra gli altri, la prof.ssa Sylvie Menard dell’Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori di Milano, il dott. Franco Nolè e la dott.ssa Viviana Galimberti dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano.

La prevenzione
In Italia l’incidenza del carcinoma localmente avanzato è intorno al 20% dei casi totali di tumore alla mammella, e colpisce donne di tutte le età, anche molto giovani. “Le giovani donne spesso sono poco sensibili alla prevenzione e non prestano la dovuta attenzione a eventuali anomalie della mammella – spiega il dott. Pane –. Spesso il tumore della mammella può evolvere più velocemente anche in donne giovani, in cui si verificano importanti, fisiologiche, stimolazioni ormonali dovute ad esempio a gravidanze, altre volte causate da patologie o ancora indotte da alcuni farmaci (ad esempio contro la sterilità). Ma anche nelle pazienti molto anziane che trascurano il proprio stato di salute, può essere riscontrato il carcinoma della mammella localmente avanzato”.
In questo contesto la prevenzione assume un ruolo di primo piano. I medici consigliano di sottoporsi a mammografia annuale a partire dall’età di 40 anni e di continuare a farlo anche in età avanzata. Nelle pazienti con familiarità alla malattia il rischio è più alto e quindi la prima mammografia deve essere fatta intorno ai 35 anni. “Abbiamo cominciato a utilizzare come strumento di prevenzione anche la risonanza magnetica – spiega ancora il medico –, che è di aiuto nei casi di mammelle difficili da studiare con mammografia ed ecografia, quando sono associati uno o più fattori di rischio quali la familiarità, un’anamnesi personale di una pregressa neoplasia alla mammella o alla ovaie o un trattamento radioterapico mediastinico per morbo di Hodgkin. Quando la mammella è troppo densa infatti, cioè con un elevato contenuto di tessuto ghiandolare che ostacola un corretto studio mammografico, c’è il rischio di scoprire la neoplasia in fase già avanzata”.
Per il dott. Pane “la diagnosi precoce è fondamentale. Individuare la neoplasia nella fase iniziale, prima che abbia coinvolto i linfonodi dell’ascella, dai quali le cellule tumorali si possono diffondere dando metastasi a distanza, fa salire al 95% le possibilità di guarigione. Per questo sono importanti le indagini strumentali: una neoplasia non palpabile, molto piccola, si trova solo con la mammografia. L’autopalpazione a mio avviso è utilissima, perchè è uno stimolo, nel caso si trovi qualche anomalia, ad andare dal medico. Ma non può sostituire la mammografia, che rimane l’unica metodica che statisticamente riesce ad abbattere la mortalità per cancro della mammella”.

Le target therapies
Fino a oggi i tumori di dimensioni superiori ai tre centimetri venivano trattati con la mastectomia, cioè l’asportazione totale della mammella. Ora invece è sempre più frequente il ricorso alla resezione parziale, o quadrantectomia.
“In questo campo stiamo facendo un ulteriore passo avanti con i farmaci ‘bersaglio’ – sottolinea il dott. Michele Caruso –. Studi clinici hanno mostrato che pazienti con carcinoma mammario localmente avanzato, che presentano una iper-espressione di HER2, hanno una risposta completa patologica in oltre il 60% dei casi. In altre parole, le donne sottoposte a chemioterapia e a trattamento con anticorpo monoclonale, al momento dell’intervento chirurgico non presentano più la malattia. Con probabilità più alte di guarigione”.
Su questa base Humanitas Centro Catanese di Oncologia sta avviando un nuovo studio clinico pluricentrico.
Lo sforzo nella ricerca, insieme all’approccio multidisciplinare alle patologie della mammella che coinvolge più specialisti, permettono ai medici dell’ospedale di individuare il trattamento più adatto a ogni paziente. “A questo si aggiunge la sensibilità della popolazione alla prevenzione – spiega il dott. Caruso –, che nel nostro territorio ha raggiunto livelli confortanti. Le donne sono molto attente e nella maggior parte dei casi arrivano in ospedale quando il tumore è in fase precoce”.

Il linfonodo sentinella
Un altro filone su cui stanno lavorando gli specialisti di Humanitas Centro Catanese di Oncologia riguarda la possibilità di eseguire l’analisi del linfonodo sentinella anche nelle pazienti trattate con chemioterapia neoadiuvante. Prima dell’intervento il medico nucleare inocula nella zona del tumore un tracciante radioattivo che permette di eseguire una linfoscintigrafia, individuando così il linfonodo sentinella. In questo modo i chirurghi possono asportarlo e l’anatomopatologo può analizzarlo.Occorre asportare tutti i linfonodi dell’ascella solo se è positivo il sentinella.
“Si tratta di una procedura diagnostica – spiega il dott. Caruso – che ci permette di preservare il più possibile l’ascella e di evitare le complicanze che derivano dall’asportazione totale dei linfonodi. L’intervento è meno invasivo ed accorcia i tempi chirurgici. È una possibilità quindi molto interessante, che al momento però è utilizzata in questo gruppo di pazienti con malattia localmente avanzata”.

HER2, la risposta al cancro della mammella nel patrimonio genetico
Il nuovo studio clinico sul carcinoma della mammella localmente avanzato di Humanitas Centro Catanese di Oncologia è partito il 15 aprile. Verranno prese in considerazione pazienti che esprimono la proteina HER2 (sono il 25-30% del totale). “Queste donne – spiega il dott. Caruso, promotore della ricerca – solitamente presentano una malattia più aggressiva rispetto alla norma, ma studi precedenti hanno dimostrato che quando vengono sottoposte a chemioterapia associata all’uso dell’anticorpo monoclonale prima dell’intervento, e in caso di tumore superiore a due centimetri, si verifica una risposta completa patologica (cioè un’assenza della neoplasia al momento dell’operazione) in oltre il 60% dei casi. Un risultato che fa auspicare maggiori possibilità di guarigione ”. Nelle pazienti HER2 negative invece i casi di risposta completa patologica non superano il 38%, proprio perché si utilizza una chemioterapia tradizionale senza l’aggiunta dell’anticorpo monoclonale.
Lo studio di Humanitas Centro Catanese di Oncologia, promosso in collaborazione con l’Università di Messina e la Casa di Cura di Alta Specialità La Maddalena di Palermo, ha lo scopo di confermare questi risultati, individuando una correlazione tra patrimonio genetico e risposta alla terapia. “Sarà quindi possibile decidere le cure con nuovi farmaci, partendo dai geni delle pazienti”, conclude il dott. Caruso. Le donne coinvolte nello studio saranno sottoposte a biopsia e risonanza magnetica prima e dopo la chemioterapia.

A cura della Redazione

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