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Prevenzione

Gennari: i tumori si vincono con la diagnosi precoce

30/03/2004

Sarà per quel suo sguardo rassicurante, per quella sua mano ferma. Sarà per quel suo modo di fare, affabile, ma sentirle da lui, il prof. Leandro Gennari , responsabile del Dipartimento di Chirurgia Generale di Humanitas, i tumori dell’apparato digerente non fanno così paura. Ci sono, è vero, ma oggi possono essere diagnosticati precocemente e curati. A questo tema Humanitas dedica la rubrica “Lo specialista risponde” di aprile.

Prof. Gennari, questo tipo di patologie è molto diffuso?
“Molto, purtroppo. I tumori dell’apparato digerente, in particolare il cancro al colon retto, al pancreas, allo stomaco, sono tra i 10 killer della nostra esistenza. Fortunatamente, nel corso degli ultimi 50 anni, sono intervenuti alcuni fattori che hanno migliorato le possibilità terapeutiche e quindi le percentuali di guarigione”.

Quali sono i numeri di questa malattia?
“Nella letteratura medica si può leggere che nel 1950 l’incidenza del tumore al colon retto era di 48 casi su 100.000 cittadini. Oggi, siamo a 61 su 100.000. Sembra, a rigor di numero, che l’aumento dell’incidenza sia un fattore negativo. In realtà si deve invece ritenere che vengono oggi diagnosticati casi che una volta sfuggivano”.

Per quale motivo?
“Le cause sono diverse. I cittadini degli anni Cinquanta erano nati nei primi decenni del ‘900 durante i quali l’informazione, o meglio, l’educazione sanitaria era pressoché assente. Oggi i nostri cinquantenni hanno una cultura migliore e quindi si sottopongono più spesso alla visita medica. Al fatto culturale si aggiunge anche il potenziamento dei mezzi diagnostici, basti pensare che tra il 1960 e il 1970 è apparsa l’endoscopia, e più tardi l’ecografia, la Tac e la risonanza magnetica nucleare”.

Accanto alla diagnostica sono migliorate anche le terapie?
“Sì, decisamente: nel caso, ad esempio, di tumore del colon retto, alcuni anni fa non asportando il mesoretto, l’incidenza delle recidive era circa il 20% dei casi, il che comportavano una mortalità successiva. Ora, asportando il mesoretto, le recidive sono meno del 10%. Inoltre, ora, grazie anche ad una presa di coscienza basata su studi clinici, si possono operare anche metastasi epatiche”.

C’è dell’altro?
“Certo, c’è il contributo della radioterapia e della chemioterapia. Addirittura è possibile che, con un primo intervento radio e chemioterapico, il tumore venga ridotto di volume, aumentando così le possibilità chirurgiche, e talvolta venga anche completamente distrutto. Senza contare che la chemioterapia si è evoluta moltissimo: sono state migliorate le dosi, cambiati gli accostamenti farmacologici e sono stati trovati farmaci più attivi. Come è facile intuire i miglioramenti nelle fasi diagnostiche e terapeutiche si traducono in un miglioramento della sopravvivenza dei pazienti. Negli ultimi decenni infatti, la sopravvivenza è migliorata di circa il 16-20%, con un progressivo annuo di 1-1,5 punti”.

Esiste una tipologia di persone più a rischio di altre?
“Si può dire che dopo i cinquant’anni, per entrambi i sessi, forse per debolezza genetica, per debolezza immunitaria, o per problemi che ancora non conosciamo, più facilmente possono comparire i tumori”.

Quali sono, quindi, le precauzioni?
“Ci sono due tipi di prevenzione. Quella primaria, che spetta ai ricercatori per trovare l’agente eziologico del male in questione. E quella secondaria che spetta al medico e di conseguenza al paziente. E’ la cosiddetta diagnosi precoce”.

Cosa si dovrebbe fare?
“Sarebbe opportuno, dopo aver compiuto i cinquant’anni, di anno in anno fare opportuni accertamenti su indicazione del medico di famiglia: monitorare fegato, torace, addome, utero, mammelle e tenere sotto controllo i valori del sangue”.

A cura di Raffaele Sala

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