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Doping, quali rischi si corrono?

11/10/2013

 

In principio si studiavano le sostanze che potessero migliorare le prestazioni dei soldati in battaglia, a cavallo della seconda guerra mondiale e durante la guerra fredda. Complice anche il prestigio che ha sempre accompagnato i successi sportivi, gli esperimenti vennero quasi subito esportati dai campi di battaglia a quelli di gioco: nacque così una consuetudine destinata a cambiare profondamente la pratica sportiva e ad avvelenarne la natura di svago salutare e puramente ludico. Di certo è altissimo il prezzo del doping, dal punto di vista della salute ma anche da quello economico. Ne abbiamo parlato con il dottor Michele Lagioia, ciclista amatore, medico igienista e Direttore Sanitario di presidio di Humanitas.

Dott. Lagioia, quanto impatta il doping sulla salute di un atleta?

«Purtroppo, anche se siamo sicuri che un impatto ci sia, non sappiamo quantificarlo né prevederlo. È certo che, fin dagli anni 70, la letteratura medica abbia evidenziato i danni prodotti dal doping; questi, se talvolta si possono osservare nell’immediato o quasi, molto più spesso si manifestano a distanza di anni o addirittura decenni. Generazioni di atleti si sono rovinati la salute e hanno messo a rischio la propria vita per migliorare le prestazioni sportive: ogni disciplina ha le sue “necessità”, con sostanze e metodi differenti, che si evolvono nel tempo, in ogni caso più velocemente di quanto non proceda la ricerca tesa a smascherarli. Per questo, trattandosi ogni volta di molecole muove e procedimenti mai sperimentati, nemmeno chi li inventa può dire con certezza quali possano essere i danni provocati sugli atleti che ne fanno uso».

Qual è la linea di confine fra integratori alimentari e farmacologici e sostanze dopanti?

«Esiste una differenza fondamentale, che viene sfortunatamente sottolineata molto di rado. Chiunque faccia uno sforzo fisico, crea degli squilibri nelle sostanze che vengono consumate dall’organismo, e che debbono essere reintegrate. Normalmente questo avviene attraverso l’alimentazione; tuttavia, a fronte di uno sforzo molto intenso, sarebbe necessario mangiare quantità notevoli di alcuni alimenti, il che creerebbe, a sua volta, altri squilibri. In questi casi, l’utilizzo di integratori, di natura alimentare o farmacologica va a supplire alle carenze dell’organismo, evitando di determinare ulteriori problemi. Assumere invece delle sostanze che normalmente non fanno parte del proprio metabolismo, con il fine di aumentare artificialmente le proprie capacità, è tutta un’altra cosa. Proprio questo semplice criterio delinea chiaramente il confine fra ciò che è doping e ciò che non lo è».

In che senso il doping ha anche un costo economico?

«La frase può avere più di un significato. Nello sport professionistico, il costante miglioramento delle prestazioni è essenziale per mantenere l’interesse del pubblico, che i soldi li porta; gli atleti hanno carriere brevi, durante le quali debbono sempre rendere al massimo per onorare i contratti milionari. D’altra parte, è necessario mantenere gli alti costi della ricerca, tesa continuamente a smascherare le astuzie sempre nuove di chi non gioca secondo le regole. Il problema è che per andare sempre più forte, per correre più a lungo, si comincia ancora più presto. Il pericolo più grande per chi persegue un percorso agonistico è proprio il fatto che il doping cominci in tenera età, con un allargamento del numero di utenti, del giro di affari (illegali) e un costo ancora più alto per la salute dei giovani atleti che, invece di trarre vantaggio dallo sport, ne sono danneggiati. La strada giusta è quella di creare una cultura sportiva diversa, che si diffonda in ogni paese e crei nuovi valori, restituendoci l’esatta percezione che il risultato ottenuto non può prescindere dai metodi che si utilizzano per ottenerlo».

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