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Sport

Quando il cuore va nel pallone

16/12/2002

Ha suscitato grande interesse l’articolo pubblicato la scorsa settimana nel quale si analizzavano gli sport di squadra più diffusi e la loro capacità di sollecitare, nel bene e nel male, la schiena. Ecco ora un’analisi del rapporto tra lo sport più praticato in Italia, il calcio, e il muscolo più importante del corpo umano, il cuore. Pensiamo ai giovani atleti che si allenano per giocare 90 minuti in undici sul campo regolamentare, ma anche ai meno giovani che, magari una volta alla settimana, si sfidano cinque contro cinque sui campi di calcetto per staccare dagli impegni lavorativi, divertirsi e “tenersi in attività”: quale sforzo comporta per l’apparato cardiocircolatorio il gioco del calcio nelle sue diverse forme e misure? Rispondono i professionisti di Humanitas.

A quale tipo di sforzo una partita di calcio sottopone il cuore?
Se parliamo di calcio vero e proprio, con undici giocatori per squadra, novanta minuti di gioco e campo regolamentare, si ha un’attività fisica mista, con un impegno metabolico di base di tipo aerobico e con frequenti inneschi del metabolismo anaerobico, quando si devono compiere scatti veloci e abbastanza prolungati (30 – 40 metri). Anche se ci sono pause di recupero, tuttavia questo sport si è molto evoluto, negli ultimi anni, dal punto di vista atletico: si corre di più e si gioca a velocità molto maggiori. In conclusione, quindi, è una attività fisica di tipo misto, con punte di metabolismo anaerobico piuttosto impegnative (scatti, dribbling, arresti e ripartenze frequenti), ma basata anche sulla resistenza, data la lunga durata della partita e i ritmi di gioco spesso elevati.

Che limiti ci possono essere alla pratica di questo sport?
Come per altri giochi di squadra, tipo il rugby, il basket, la pallavolo e la pallanuoto, in molte fasi del gioco c’è un forte stress sull’apparato cardiovascolare. Se una persona che gioca a calcio non è del tutto a posto dal punto di vista cardiaco, può correre qualche rischio. A una persona con problemi alle coronarie o ad una valvola del cuore giocare a calcio di norma si sconsiglia. Però, tra i calciatori più giovani, talvolta si può scoprire qualche piccola disfunzione cardiaca. In questi frangenti si va alla ricerca della sicurezza che non sempre equivale a vietare il gioco del calcio. Può capitare, per esempio, che in atleti, anche di buon livello, venga riscontrata una anomalia cardiaca. Spesso si tratta di problemi di pertinenza elettrofisiologica e a volte questi problemi si risolvono favorevolmente consentendo poi agli atleti di continuare la pratica sportiva.

Quindi l’anomalia cardiaca non allontana necessariamente dai campi di calcio?
Anche a livello professionale ci sono casi (sia pur rari) di atleti con patologie che devono svolgere la loro professione sotto controllo vigile e adeguato, ma possono farlo in sicurezza. Se però trasferiamo il problema ad una popolazione adulta, con problematiche cardiologiche, in tal caso il discorso è completamente differente. Per esempio un paziente che ha avuto un infarto al miocardio, superato e guarito a tutti gli effetti: in queste circostanze giocare a pallone stressa in maniera non corretta un cuore infartuato e i rischi diventano elevati. Ciò non toglie che qualche cardiopatico forzi un po’ la mano e giochi ancora (magari la classica partitella serale tra amici), però noi lo sconsigliamo decisamente”.

Il calcetto potrebbe essere una soluzione di compromesso?
“No. Calcio o calcetto non cambia. Nel calcetto, infatti, ci si muove in spazi più stretti, ma l’intensità del gioco è sempre piuttosto elevata e senza possibilità di recuperare proprio a causa del campo più piccolo. Così può diventare più stressante per il cuore, anche se più tollerabile per chi non ha più la preparazione fisica e la resistenza per reggere i novanta minuti del calcio normale. A calcetto giocano spesso atleti ex professionisti che, arrivati a una certa età, non ce la fanno più a mantenere i ritmi sui novanta minuti e a muoversi in spazi troppo ampi, ma essendo dotati di buoni fondamentali, possono ancora reggere il confronto su questi piccoli campi sintetici.

Quale sport di squadra è meno “stressante”?
In linea di massima no, perché tutti implicano contatto fisico, necessità di espletare il gesto atletico con coordinazione e rapidità, e quindi ci sono sempre dei momenti in cui lo stress sui meccanismi di adattamento del cuore risulta eccessivo. Certamente la pallavolo richiede tra tutti uno sforzo ancora più anaerobico, perché si gioca in spazi molto stretti e in tempi rapidissimi, si salta molto anche da fermi, compiendo sforzi intensi per le schiacciate o per tuffarsi a recuperare la palla.

Molti bambini, già dai sei anni, scelgono il calcio come attività sportiva e le società li inseriscono in corsi di livello abbastanza impegnativo, con allenamenti frequenti e tornei. È un bene?
Il calcio è uno sport che prevede, se fatto a buon livello, una base di preparazione atletica ottima per l’organismo ed è pertanto da consigliare ai bambini e agli adolescenti. A ciò si aggiunge, secondo me, per il calcio come per tutte le altre discipline sportive insegnate con impegno e continuità, una positiva valenza educativa, sempre che non si voglia creare dei campioni miliardari già all’epoca delle scuole elementari.

 

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