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Paolo Rossi: nel calcio si mette in gioco tutto

03/06/2002

In questi giorni i televisori di tutto il pianeta sono sintonizzati sulle partite dei Mondiali di Calcio. Ma come vivono i calciatori il loro rapporto con la salute? Paolo Rossi, campione del mondo 1982, ha dovuto abbandonare il calcio a 30 anni per seri problemi alle ginocchia, come racconta nell’autobiografia Ho fatto piangere il Brasile, che la casa editrice Limina ha pubblicato di recente. Lo abbiamo incontrato e intervistato.

Che rapporto esiste per te fra sport e salute?
“Lo sport si è sviluppato molto in questi ultimi anni. Con gli interessi che ci sono in gioco si sta quasi deteriorando il significato delle prestazioni e anche l’interesse per la salute. È naturale pensare che lo sport faccia bene, ma adesso abbiamo imparato a coglierne anche gli aspetti negativi come il doping. Credo non sia molto presente nel calcio, di sicuro più in altri sport persino a livello dilettantistico. A questo punto o si trova una soluzione drastica o si lascia fare tutto a tutti. E’ chiaro che quest’ultima soluzione da un punto di vista etico è sbagliata, soprattutto per i ragazzi. Poi finisce che lo sport perde di credibilità. Vediamo quel che sta succedendo nel ciclismo: chiunque vinca, ormai, è considerato dopato”.

Vedo che fumi…
“Fumo e ho sempre fumato, ma non va bene per chi fa attività sportiva. Quando giocavo non fumavo più di tre-quattro sigarette al giorno. Se fumi di più lo senti, ti dà fastidio”.

Qual è l’alimentazione ideale di un giocatore?
“Io ho sempre mangiato di tutto, senza abusare. Ovviamente, prima delle partite, si stava particolarmente attenti alla qualità e quantità del cibo”.

Quanto bisogna allenarsi? Esiste un “troppo” oltre che un “troppo poco”?
“Oggi ci sono più partite che allenamenti, si è infatti intensificata l’attività agonistica e quindi ci si allena un po’ meno. Siamo però anche arrivati a un livello per così dire scientifico di preparazione, oramai si dosano alla perfezione i tempi degli allenamenti”.

La moda del calcetto. Qualche consiglio per tenersi in forma senza farsi male?
“Se si può praticarlo tre-quattro volte alla settimana è meglio, perché il fisico si abitua, si adatta, i muscoli funzionano meglio. Personalmente non amo il campo in sintetico, non è una cosa naturale, è più pericoloso. È vero però che rende tutto più facile: vai, prenoti, stai un’ora, ti trovi con gli amici, fai una sudata… Piuttosto che niente va bene anche quello.
Giocando a calcio è facile farsi male, è nella natura del gioco. Perché si mette in moto tutto, inoltre c’è il contatto con l’avversario, la stanchezza, entri in ritardo, non hai i tempi…”.

Platini nell’intervista che appare sul tuo libro dice che avresti potuto fare di più, anche nel curarti le ginocchia: è vero?
“Forse. È anche vero che se fossi nato qualche anno dopo avrei giocato almeno quattro o cinque stagioni di più. Negli anni settanta non esistevano trattamenti come l’artroscopia, non c’erano le metodologie di intervento che ci sono oggi e io ne ho sofferto molto, soprattutto negli ultimi due-tre anni di carriera. Adesso anche a livello di rieducazione, di mantenimento, ci sono tecniche all’avanguardia”.

Pochi sanno che sei il fondatore di un’associazione per bambini cardiopatici
“E’ un’iniziativa che risale ormai a vent’anni fa. L’abbiamo fondata quando era ancora in attività un medico che purtroppo poi è mancato, il professor Belloli, un primario di Vicenza che si occupava di malattie cardiache infantili. Certo, abbiamo aiutato molte famiglie, ma non sono cose che si sbandierano”.

A cura di Selene Verri

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