La diagnosi prenatale sta cambiando rispetto a qualche anno fa: sono aumentati gli esami di diagnosi prenatale non invasiva grazie al ricorso sempre più frequente agli esami del DNA fetale, e sta diminuendo il ricorso agli esami invasivi.
Non esiste, tuttavia, un solo test del DNA fetale, ma possono esserci ampliamenti di indagine che non si sostituiscono agli esami di screening tradizionali ma spesso hanno un significato se associati a ecografie ostetriche.
Approfondiamo l’argomento con la dottoressa Marinella Dell’Avanzo ginecologa di Ostetricia e Ginecologia di Humanitas San Pio X.
I test di screening non invasivi del primo trimestre
«È importante sottolineare che nella diagnosi prenatale, esami e test si eseguono quando il feto è già in parte formato (la sua formazione è quasi completa, negli organi, tra la nona e la decima settimana) – spiega la dottoressa Dell’Avanzo -. Pertanto, gli esami di diagnosi prenatale non aiutano a valutare le probabilità che il feto sviluppi trisomie, malattie genetiche o malformazioni, ma a diagnosticarle nel caso siano già presenti. I test di screening prenatale vengono eseguiti, generalmente, durante il primo o il secondo trimestre di gravidanza, ma non garantiscono una diagnosi certa e definitiva, ed essendo test di screening calcolano un rischio. Qualora il risultato sia a rischio (positivo), è bene rivolgersi al ginecologo o al genetista per discutere dei possibili e ulteriori esami da eseguire successivamente. Importante è il counseling preconcezionale specie per le coppie a rischio riproduttivo, da richiedere ed eseguire prima del concepimento, quando la coppia o la donna desidera una gravidanza. A volte, infatti, nelle famiglie sono presenti malattie ereditarie, come cardiopatie, fibrosi cistica, sordità e così via, che potrebbero essere trasmesse al futuro nascituro. Il percorso preconcezionale con genetista e ginecologo e altri specialisti a seconda del settore interessato, permette alla coppia e alla donna di intraprendere una gravidanza responsabile e consapevole, e intervenire sui rischi modificabili».
Gli esami di screening prenatale entro il primo trimestre
Ecografia ostetrica alla 7a-8a settimana o ecografia del primo trimestre: questa ecografia permette di vedere se il feto è uno o più di uno e, in caso di malattie o malformazioni congenite in famiglia, si può discutere con ginecologo o genetista l’approccio e le opzioni di esami di diagnosi prenatale per la coppia (counseling prenatale), se non è stato già fatto in epoca preconcezionale. Questo counseling è altamente raccomandato per una gravidanza responsabile e consapevole, meglio se eseguito prima della gravidanza, anche se non è obbligatorio.
Bi-test o translucenza nucale: questa ecografia si effettua tra l’undicesima e la quattordicesima settimana di gestazione, e serve per vedere la lunghezza del feto, lo spessore retronucale del feto (translucenza nucale), l’osso nasale, il rigurgito della tricuspide, il dotto venoso. La valutazione della translucenza nucale o NT è un dato importante per valutare il rischio fetale per le principali trisomie (13,18, 21), e a volte è indicativo di cardiopatie e sindromi (insieme di sintomi e segni) che si sviluppano successivamente. L’esame è eseguito in associazione a un prelievo di sangue (livelli di PAPP-A e hCG). In presenza di Sindrome di Down e di altre condizioni, come ad esempio cardiopatie, la translucenza nucale può risultare aumentata. Il rischio di falsi positivi con il Bi-test è del 5%.
Test del DNA fetale o NIPT: il test del DNA fetale o NIPT è l’esame che analizza il DNA libero circolante isolato da un campione di sangue materno. La finalità del test del DNA fetale è avere una stima del rischio di aneuploidie, ovvero delle patologie cromosomiche. Il test del DNA ha una sensibilità del 99% per la trisomia 21 o sindrome di Down, del 97% per la trisomia 18 e 13. È possibile, anche se con minor accuratezza, determinare il rischio di anomalie di numero dei cromosomi sessuali. Il test del DNA è un test di screening non diagnostico, che si può effettuare dall’undicesima alla ventiquattresima settimana di gestazione. Nel corso degli anni sotto le spinte tecnologiche e commerciali, si è assistito all’aggiunta di altre anomalie cromosomiche, alcune sindromi da microdelezione, fino al cariotipo. Attualmente le più importanti società scientifiche riconoscono una chiara validità e utilità clinica del test del DNA limitatamente alle tre trisomie principali (T21,T18 e T13). Importante è l’informazione pre screening da parte del ginecologo o genetista.
È utile associare sempre un’ecografia ostetrica in base al periodo in cui viene effettuato il test. Se per esempio il test del DNA fetale viene effettuato alla dodicesima settimana conviene associare allo screening la valutazione della translucenza nucale del feto (NT), valore che rappresenta uno “spartiacque” nella diagnosi prenatale. Valori di translucenza elevata (ad esempio >3mm) richiedono esami più approfonditi. Se il test del DNA fetale viene eseguito più avanti nella gravidanza, l’ecografia ostetrica può andare a studiare l’anatomia del feto e valutare la presenza di alcune malformazioni visibili in quell’epoca gestazionale.
Test di diagnosi prenatale invasivi
Nei casi in cui il Bitest o il test del DNA fetale libero circolante indicano un rischio aumentato per trisomia 13, 18, 21 è possibile prendere in considerazione la possibilità di svolgere altri esami più invasivi come la villocentesi (durante la quale viene prelevato un campione di placenta) o l’amniocentesi (durante la quale viene prelevato un campione di liquido amniotico): questo dopo un’adeguata consulenza con lo specialista di riferimento. Questi esami presentano un lieve rischio di aborto spontaneo (circa l’1%). È importante che la coppia riceva tutte le informazioni sui rischi dal ginecologo o genetista per scegliere quali esami effettuare e il percorso da intraprendere secondo la propria etica.
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