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Alimentazione

Sindrome dell’ovaio policistico: c’è un legame con insulino-resistenza?

24/09/2018

L’ovaio policistico (PCO) interessa dal 5 al 10% delle donne in età fertile. Tale condizione, definita dalla combinazione di disfunzione ovarica ed iperandrogenismo (eccessiva produzione di androgeni) comporta una serie di alterazioni sia a livello dell’apparato riproduttivo (mancata ovulazione, irregolarità mestruali, morfologia dell’ovaio di tipo policistico) sia in ambito metabolico. Infatti, oltre a compromettere la fertilità, questa condizione incrementa il rischio di sovrappeso e obesità e comporta significative alterazioni relative al metabolismo di grassi e zuccheri. La resistenza insulinica è una condizione patologica in cui i tessuti dell’organismo perdono progressivamente la capacità di rispondere al segnale dell’ormone prodotto dal pancreas, essenziale per far entrare il glucosio dal sangue alle cellule che ne fanno uso per produrre energia, sembra avere una diretta correlazione con questa patologia. Ne parliamo con il professor Andrea Lania dell’Unità Operativa di Endocrinologia, Andrologia medica e Diabetologia.

 

La diagnosi dell’ovaio policistico

Sebbene non esista un’unica definizione, i criteri diagnostici a cui le principali Società Scientifiche si rivolgono prevedono la coesistenza di almeno due delle seguenti caratteristiche: 1) il rilievo di elevati livelli di androgeni nel sangue e/o di manifestazioni cliniche riconducibili ad uno stato di iperandrogenismo (ad esempio l’irsutismo, ovvero la presenza anomala ed eccessiva di peli a distribuzione maschile in un soggetto di sesso femminile), 2) la disfunzione ovulatoria con irregolarità dei cicli mestruali (la manifestazione più comune è l’ ‘oligoamenorrea’, ovvero la ridotta frequenza o la completa assenza dei cicli mestruali in condizioni di anovulazione cronica) ed 3) il reperto ecografico di policistosi ovarica (presenza di oltre 10 cisti del diametro di 2-8 mm ciascuna).

Pur rappresentando il più comune disturbo endocrino-metabolico delle donne in età riproduttiva, la diagnosi di PCO viene posta solo dopo aver escluso altre condizioni cliniche più specifiche (ad esempio, l’iperprolattinemia e l’iperplasia surrenale congenita).

Trattandosi di una patologia tipicamente endocrinologica, per anni è stata trattata con la somministrazione di ormoni femminili (estroprogestinici o solo progesterone) e antiandrogeni. Ma i contraccettivi, anche quelli che contengono bassi livelli di estrogeni, non solo non sono efficaci verso le alterazioni metaboliche della malattia, ma possono peggiorare il profilo lipidico, con aumento soprattutto dei trigliceridi.

Vi sono sempre maggiori evidenze a supporto dell’ipotesi che la sindrome dell’ovaio policistico (PCOS) possa essere un complesso disturbo multigenico con forti influenze ambientali, tra le quali dieta e stile di vita sembrano giocare un ruolo principale. Pertanto, la strategia terapeutica non dovrebbe essere orientata solo alla risoluzione dei disturbi correlati all’iperandrogenismo e alla disfunzione ovarica, bensì anche al miglioramento delle alterazioni metaboliche, favorendo l’instaurarsi di un circolo virtuoso.

 

Le alterazioni metaboliche correlate a questa patologia

È ormai chiaro che le alterazioni metaboliche sono una componente centrale della sindrome dell’ovaio policistico: più del 60% delle donne affette dalla sindrome presenta resistenza insulinica (e si arriva al 100% nelle pazienti obese). La resistenza insulinica è l’anticamera del diabete, della sindrome metabolica e delle patologie cardiovascolari. Da dove viene la resistenza insulinica? Dalla sedentarietà, da una dieta disequilibrata e dallo stress. L’insieme di questi fattori causa sovrapproduzione di radicali liberi ed infiammazione, strettamente intrecciata alla resistenza insulinica, ma è anche all’origine di ansia e depressione, condizione ampiamente riscontrabile tra queste donne.

Nel gennaio 2013, uno studio pubblicato su Nature Review Neuroscience ha evidenziato come la regolazione dell’insulina e del metabolismo del glucosio non sia un fenomeno locale che interessa soltanto intestino, pancreas e fegato, bensì un complesso fenomeno sistemico nel quale svolgono un ruolo fondamentale il sistema nervoso centrale (in particolare l’ipotalamo) e quello vegetativo. Ecco perché oggi, nella cura dell’ovaio policistico, si punta ad un approccio integrato basato su attività fisica, alimentazione, tecniche antistress e meditative, agopuntura.

Ovaio policistico e infertilità

La presenza di ovaio policistico è tra le più comuni cause di infertilità femminile e di aborti spontanei nel primo trimestre di gravidanza. Tra le cause metaboliche coinvolte nella genesi di questa sindrome, l’insulino-resistenza svolge un ruolo chiave. Essa comporta un’aumentata produzione di androgeni da parte della teca dell’ovaio, che causano una disregolazione della pulsatilità dell’LH (ormone chiave dell’ovulazione), mentre parallelamente l’endometrio subisce una crescita anomala (con conseguenti problemi nell’impianto embrionale). La cura dell’insulino-resistenza consente una risoluzione della PCO in un’elevata percentuale dei casi, con conseguente riduzione dei disordini mestruali, incremento della fertilità e minor rischio di aborti precoci.

 

L’importanza dell’alimentazione

Una delle strategie per risolvere l’insulino-resistenza è seguire una dieta a basso indice glicemico (IG). L’IG rappresenta la velocità con cui un alimento contenente 50 grammi di carboidrati innalza la glicemia (cioè la concentrazione di glucosio nel sangue), espressa in termini percentuali in rapporto ad un alimento di riferimento, cioè glucosio o pane bianco che hanno indice glicemico pari a 100. L’IG è considerato basso se inferiore a 55, medio se compreso tra 56 e 69, alto se maggiore di 70. Dopo l’assunzione di carboidrati ad elevato IG, la glicemia subisce un brusco innalzamento, viene secreta moltissima insulina con conseguente iperstimolazione dei tessuti.

Diversi fattori influenzano l’IG di un alimento: la forma liquida o solida, la quantità di fibra (l’IG è inversamente proporzionale al contenuto di fibre, per tanto frutta e verdura, legumi, cereali integrali ed una pasta condita con le verdure hanno un IG inferiore rispetto ai cereali raffinati o ad una pasta condita con un sugo elaborato), la percentuale di altre macromolecole (l’IG si riduce man mano che aumenta la quota di grassi e proteine a discapito della componente glucidica), il metodo di preparazione (un alimento crudo ha un IG inferiore rispetto allo stesso cotto, perché con la cottura si rompono i legami tra le molecole alimentari che diventano più rapidamente assimilabili), i tempi di cottura (per la stessa ragione, la pasta cotta al dente viene assorbita più lentamente) e il grado di masticazione dell’alimento.

Fra gli alimenti ad alto IG vi sono: cereali raffinati (riso, pane bianco), dolci (gelato, wafer, biscotti, croissant, torte), bevande gasate zuccherate, alimenti che contengono tra gli ingredienti elevate percentuali di zuccheri semplici, quali saccarosio, destrosio, sciroppo di glucosio.

Altri alimenti a cui prestare attenzione per il loro medio-alto IG sono le patate ed alcuni tipi di frutta e verdura (carote, melone, zucca, uva passa).

In ultima analisi, ciascun pasto, per essere completo, deve contenere anche grassi e proteine e non dovrebbe apportare una quantità di carboidrati superiore al 55% del fabbisogno giornaliero.

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