Alimentazione

L’obesità e sovrappeso: differenze, tipologie e fattori di rischio 

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Sfatiamo un mito: essere in sovrappeso non significa essere obesi. Questi due termini, che nel linguaggio comune sono spesso usati come sinonimi e in maniera ambivalente, in realtà nella terminologia medica corrispondono ad uno stato molto specifico e soprattutto misurabile. Esistono inoltre diversi gradi di obesità e comprendere al meglio il livello di gravità in cui si manifesta questa patologia può facilitare la scelta dell’approccio terapeutico più efficace. Ne parliamo con il dottor Giuseppe Marinari, Responsabile di Chirurgia bariatrica di Humanitas.

 

I numeri

Con i suoi 2,8 milioni di decessi all’anno in tutto il mondo, l’obesità ha raggiunto proporzioni epidemiche globali tali da necessitare un serio piano di prevenzione. Fra il 1975 e il 2016 il numero di persone affette da questa patologia è triplicato, arrivando a riguardare anche 41 milioni di bambini in età prescolare. Ecco perché una corretta informazione e una educazione alimentare adeguata dovrebbero essere una priorità di governi e società civile sia nei paesi più ricchi, dove questa patologia è ormai a livelli di epidemia , sia nei paesi in via di sviluppo, dove questa patologia è in forte crescita. Come si diventa obesi? Contano per un 30% la genetica (quindi essere figli di persone obese predispone ma non obbliga all’obesità) e per un 70% il comportamento e cioè la scorretta abitudine di introdurre molte più calorie di quelle necessarie unitamente alla sedentarietà. L’obesità si può quindi contrastare con una dieta ricca di frutta e verdura, povera di zuccheri semplici, sale e grassi, in cui una moderata l’attività fisica non venga mai a mancare in tutte le età della vita.

 

L’indice di massa corporea come primo parametro di riferimento

L’indice di massa corporea (IMC in italiano, BMI nella dicitura anglosassone) è l’unità di misura con cui oggi si classifica il peso di una persona, e si calcola dividendo il peso in chili per la statura in metri elevata al quadrato. Un soggetto può dirsi normopeso se il suo BMI si attesta su valori compresi fra 18,5 e 24,9, in sovrappeso se il suo indice di massa corporea è fra i 25 e i 29,9.

Il paziente viene classificato fra gli obesi quando il suo BMI supera il valore di 30, mentre un indice di massa corporea che supera il valore di 40 è associato ad una obesità patologica che consente di prendere in considerazione la strada della chirurgia bariatrica.

Mentre per gli adulti calcolare il BMI è relativamente semplice e si calcola mettendo appunto in relazione il peso e l’altezza, reperire questo indicatore risulta molto più difficile se si tratta di bambini e adolescenti. I pediatri raccomandano a tutti i genitori di calcolare il BMI dei propri figli a partire dal secondo anno di età. Il sesso del bambino, l’altezza e la sua data di nascita determinano il range percentile in cui, in base ad un calcolo statistico, è possibile collocare il BMI di ragazzi e adolescenti.

Sottopeso: se il numero è entro il quinto percentile
Normopeso: dal quinto all’85esimo
Sovrappeso: dall’85esimo al 95esimo
Obeso: dal 95esimo percentile e oltre

 

 

I 59 tipi di obesità

Esistono diversi tipi di obesità. Secondo una delle ultime ricerche statunitensi sull’argomento, i cui risultati sono stati divulgati nel 2016 dal direttore dell’Obesity, Metabolism and Nutrition Institute del Massachusetts General Hospital, se ne conterebbero fino a 59 tipologie.

Ad oggi sono stati scoperti 25 geni diversi correlati a questa patologia. Uno studio pubblicato sul Journal of Public Health nel 2015, che ha esaminato i dati raccolti dal 2010 al 2012 dallo Yorkshire Health Study su un campione di 27 mila soggetti (fra i quali 4000 obesi), ne ha invece messo a fuoco 6 macro tipologie. I partecipanti di questa ricerca sono stati schedati secondo i parametri come l’età, il sesso, lo status socioeconomico, l’etnia di appartenenza e le condizioni di salute. Particolare attenzione è stata data anche a tre specifiche abitudini: il consumo di alcol e di sigarette e l’abitudine a svolgere attività fisica. I sei macroprofili di obesità identificati hanno poi permesso di selezionare sei differenti approcci terapeutici dedicati e pensati appositamente sulla base delle caratteristiche comuni ai soggetti categorizzati.

 

L’inefficacia di un unico approccio

Se esistono tanti tipi di obesi è necessario che esistano altrettanti modi diversi di curare questa complessa patologia derivante, come si può notare, da una molteplicità di fattori ambientali e congeniti. Più sarà precisa la categorizzazione clinica, più potrà essere specifica la terapia. Ecco perché la direzione in cui sembra necessario muoversi è proprio quella che porta a chiedersi quali fattori hanno portato il soggetto a sviluppare l’obesità, identificando abitudini scorrette e cause ereditarie. Questo ci spiega anche perché, nella lotta a questa patologia, un unico approccio terapeutico non può avere successo su tutti i soggetti trattati.

 

Cinque segnali che non andrebbero mai sottovalutati

Al di là delle categorizzazioni e delle declinazioni pratiche di quella complessa patologia che è l’obesità vi sono almeno 5 fattori, alcuni dei quali di tipo comportamentale, che dietologi e nutrizionisti hanno etichettato come pericolosi della salute. Vediamo quali sono i principali comportamenti a cui tutte le persone, anche quelle normopeso, dovrebbero prestare attenzione e quali le cattive abitudini che, se uniti da altri fattori, sono in grado di facilitare l’insorgenza di questa patologia.

 

L’importanza di un sonno regolare e non inferiore a 7 ore per notte. Oltre a prevenire malattie cardiache, ictus e depressione, è stato ampiamente dimostrato che dormire un numero adeguato di ore per notte contribuisce attivamente al mantenimento della linea. Mentre riposiamo infatti il corpo ha la possibilità di autorigenerarsi e se il tempo che gli concediamo per farlo è cronicamente insufficiente, l’organismo tende a rilasciare una quantità maggiore dei cosiddetti “ormoni dello stress” e altre tossine responsabili di uno stato infiammatorio costante e deleterio. Il principale di questi ormoni è il cortisolo che, fra le altre cose, facilita il rilascio di glucosio nel sangue. Si tratta di una risposta evolutiva molto efficace fin dai tempi dei nostri antenati, che avevano così una possibilità in più di reagire alle situazioni di stress e pericolo e ancora oggi ci aiuta a reagire alle situazioni di stress a cui siamo sottoposti nella vita quotidiana. L’altra faccia della medaglia di questo processo, decisamente meno essenziale all’uomo moderno rispetto all’uomo delle caverne, è che il cortisolo facilita l’aumento di peso e l’accumulo di adipe.
Privilegiare la cucina casalinga per più di 7 volte a settimana. Mangiare a casa cibi sani e preparati in modo semplice, con ingredienti freschi, è uno dei più validi alleati di uno stile alimentare bilanciato. Le statistiche dicono infatti che chi cena o pranza sempre fuori tende a consumare senza accorgersene pasti più calorici e ha più possibilità di sviluppare il diabete di tipo 2. Secondo i ricercatori dell’Università di Harvard, gli habitué di ristoranti e locali hanno il 13 per cento in più di rischio di sviluppare l’obesità e diabete di tipo 2 rispetto a chi mangia più di 6 volte a settimana pranzi o cene preparate a casa.
Seguire una dieta povera di zuccheri e di grassi. Cibi fritti, grassi aggiunti, bevande zuccherate consumate al posto dell’acqua, carne rossa e insaccati e alcol a volontà. Un consumo costante di questi alimenti espone ad un maggior rischio di diventare obesi. Anche se si dorme abbastanza e se si pratica sport regolarmente.
Non usare ogni giorno l’automobile per andare a lavoro. La vita sedentaria è nemica della linea. Sempre e comunque e non solo della linea. In uno studio che ha analizzato le abitudini di 15 mila residenti del Regno Unito, è emerso che i soggetti che andavano al lavoro con un mezzo proprio avevano statisticamente un indice di massa corporea più alto di chi invece usava i trasporti pubblici, la bici o andava al lavoro a piedi.
Mantenere uno stile di vita sano soprattutto quando si ha familiarità con la patologia. L’ereditarietà ad una patologia è di certo un fattore che non è possibile tenere sotto controllo. Il passato, tantomeno se non è il nostro ma quello dei nostri antenati, non è modificable e l’obesità è una patologia che può avere carattere ereditario. Se il rischio genetico dunque c’è ed è assodato, per alcuni soggetti sarà ancora più importante tenere sotto stretto controllo gli aspetti della propria vita sui cui è realmente possibile intervenire direttamente.

 

L’obesità infantile

Anche i bambini possono sviluppare l’obesità e questa è tanto più grave perché i comportamenti scorretti imparati in tenera età sono certamente i più difficili da combattere. In più i bambini, se non vengono correttamente indirizzati, tendono facilmente a sviluppare con il cibo un rapporto psicologico più forte e complesso. In uno studio condotto nel Regno Unito su 1.203 bambini, i ricercatori hanno scoperto che chi, fra i 5 e 7 anni, era abituato a consumare una dieta ricca di grassi e mangiava spesso al fast food, aveva dalle 2 alle 4 probabilità in più di diventare sovrappeso dopo i 9 anni rispetto a chi mangiava sano.

Alla luce di ciò emerge come sia meglio evitare di servire ai più piccoli porzioni troppo abbondanti e spuntini fuori pasto eccessivamente calorici. Quello che vale per gli snack, vale anche per le bibite gassate. In uno studio del 2013 che ha coinvolto 9.600 bambini di età compresa tra 2 e 5 anni, i ricercatori della School of Medicine dell’Università della Virginia hanno scoperto che quelli che consumavano regolarmente bevande zuccherate a 5 anni avevano il 43% di probabilità in più di essere obesi rispetto ai loro coetanei.

Via libera quindi a frutta e verdura e a pasti semplici. Infine, mai saltare la colazione che, soprattutto per i bambini, è il pasto più importante della giornata.