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Benessere

Perché gli anziani possono disorientarsi dopo un lungo periodo in rianimazione o ospedale?

03/08/2018

Per il paziente anziano spesso è difficile adattarsi a cambiamenti rilevanti come può essere un ricovero in ospedale – spiega la dottoressa Agnese Rossi, psicoterapeuta di Humanitas Gavazzeni -. La malattia in sé è un ostacolo che rende tutti più vulnerabili, ancor di più gli anziani. Spesso infatti comporta un decadimento delle funzioni cognitive, legate sia a processi fisiologici che al disagio psicologico conseguente a situazioni che portano sofferenza e stress, sia per i pazienti che per i familiari. Il disorientamento può essere spazio-temporale, può comportare agitazione psicomotoria, difficoltà nella gestione delle semplici attività quotidiane, può alterare il ritmo sonno-veglia e talvolta può arrivare al delirium (o stato confusionale acuto) in cui si modificano lo stato di coscienza, la percezione, l’ideazione e il pensiero diviene disorganizzato.

Il disorientamento può essere permanente?

Talvolta sì, ma dipende dalle condizioni cliniche del paziente prima dell’ospedalizzazione. Se sono già presenti disabilità fisiche, o un deficit percettivo come ipoacusia (sordità) o difficoltà alla vista, oppure disturbi della sfera cognitiva come l’inizio di demenza, solitamente la situazione peggiora. Questo accade perché togliere la persona anziana dalle sue abitudini quotidiane aumenta il rischio di un peggioramento generalizzato, dove gli aspetti cognitivi sono coinvolti direttamente insieme a quelli emotivi e fisiologici. Ne possono risentire quindi la memoria, l’attenzione, il linguaggio, ma anche il tono dell’umore e l’autonomia.

Cosa fare per aiutare gli anziani a mantenere il contatto con la realtà in ospedale?

Innanzitutto la presenza costante di persone care accanto ai pazienti anziani serve a rassicurali e supportarli in un contesto per loro caotico e confusivo. Infatti, vedere visi noti e sentire voci familiari, rende meno asettico l’ambito ospedaliero. Inoltre per rendere l’ambiente più vivibile e meno anonimo per l’anziano, sarebbe utile personalizzarlo il più possibile, ossia rendere visibili al paziente oggetti per lui conosciuti (il suo pigiama, un oggetto a cui è affezionato sul comodino) e stimolarlo, dove possibile, a compiere le attività abituali (leggere il giornale, guardare il programma televisivo che gli interessa, proporre cibi che apprezza, ridurre il più possibile l’allettamento prolungato). E’ importante inoltre favorire il riposo notturno, per non sconvolgere il ritmo sonno-veglia e abituarlo gradualmente alle novità che deve affrontare, con spiegazioni chiare e comprensibili.

Coinvolgerli nelle “cose di casa”, cioè nella realtà quotidiana, può aiutare l’anziano?

Certamente, soprattutto se sono attività stimolanti e gratificanti e in particolare se sono state attività interessanti per il paziente anche nel passato (cucinare, curare i fiori, eccetera), insieme alla compagnia di una persona cara, che lo rassicuri e gli garantisca di soffrire il meno possibile di solitudine, che per gli anziani può risultare un fattore determinante nel peggioramento della qualità della vita.

E’ importante considerare che la popolazione anziana è oggi in continuo aumento e richiede sempre più attenzioni dal punto di vista socio-assistenziale, soprattutto nel caso di patologie croniche o disabilità. Ciò implica ripensare alla presa in carico dell’anziano nella sua totalità e complessità, non solo per la specifica patologia che presenta al momento, ma accogliendolo nella sua fragilità e vulnerabilità con l’obiettivo di garantire dignità in questa fase delicata della vita, in cui le patologie organiche e il decadimento cognitivo si influenzano reciprocamente. Si dovrà quindi investire sempre più nell’assistenza domiciliare, fornendo un buon supporto alle famiglie per mantenere il più possibile la persona anziana nell’ambiente domestico, che aiuta a conservare il proprio senso di identità e riduce il rischio del deterioramento cognitivo.

 

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