Benessere

Se sorridi, sorrido. Non solo gli sbadigli sono contagiosi

22/02/2016

Se vediamo qualcuno sbadigliare spesso istintivamente facciamo lo stesso. Ma non solo gli sbadigli sarebbero contagiosi, lo sarebbe anche il sorriso. Imitare l’espressione altrui è la chiave di accesso per capire come quella persona si sente. È la conclusione di una ricerca di un gruppo di ricercatori della University of Wisconsin (Usa). Si tratta di una revisione di studi precedenti pubblicata su Trends in Cognitive Sciences.

Basta uno sguardo per capire lo stato d’animo di chi ci sta a fianco. Ma perché saremmo portati a imitare gli altri? Per empatia, rispondono i ricercatori. Quando siamo con qualcuno che ci sembra avvilito o felice “prendiamo in prestito” la sua espressione senza rendercene conto. Così ci accorgiamo di cosa sta provando in quel momento ricordando tutte le volte in cui noi stessi ci siamo sentiti così.

(Per approfondire leggi qui: La ricetta della felicità? Musica, compagnia e altruismo)

Il processo è rapidissimo: simuliamo la mimica facciale altrui e dentro di noi si scatena una risposta emotiva. Così siamo portati a empatizzare in pochissimo tempo. È un processo veloce, automatico e inconscio con cui connettiamo i segnali emotivi dell’altra persona al nostro vissuto emotivo. Dalla reazione passiamo poi all’azione: l’emulazione ci porta ad agire di conseguenza: ci avviciniamo o evitiamo quella persona che ci sta accanto.

«L’empatia è quell’attitudine a sentire dentro di sé le emozioni, i sentimenti e le intenzioni che animano la psiche altrui», spiega il dottor Enrico Lombardi, psicologo e psicoterapeuta dell’ospedale Humanitas.

L’empatia passerebbe dunque anche dal canale dell’imitazione?

«In una relazione tra due persone la comunicazione non è fatta solo di parole, tutt’altro. Alla comunicazione verbale è affidato solo il 10% dei messaggi che queste due persone si scambiano, il restante 90% passa dalla comunicazione non verbale come gesti, postura, mimica facciale», risponde lo specialista.

Una storica ricerca italiana ci aiuta a capire meglio quanto emerso da questo studio americano: «Si tratta della scoperta dei cosiddetti “neuroni a specchio”, una sorta di corrispondente biologico di questa attitudine. Sono delle cellule cerebrali che ci permettono di farci reagire in modo speculare alle intenzioni del nostro simile. Questi neuroni sarebbero coinvolti nel processo di apprendimento dei bambini sin dai primi anni di vita: imitando le figure di riferimento, ad esempio i genitori, il bambino stabilirà un contatto diretto con loro e porterà dentro di sé degli schemi relazionali da impiegare nell’arco di tutta la vita».

(Per approfondire leggi qui: Italia senza sorriso: al 50° posto secondo l’indice della felicità)

«Anche se non tutti hanno lo stesso grado di empatia – conclude il dottor Lombardi – è grazie ad essa, e tramite processi di riconoscimento e imitazione degli stati d’animo altrui, che siamo in grado di entrare in relazione con gli altri. Di conseguenza possiamo capire di poter fare qualcosa per l’altro e pertanto possiamo agire. Quanto più una persona sarà empatica, quanto più sarà capace di entrare in sintonia con l’altro, tanto più avrà gli strumenti utili per corrispondere ai suoi bisogni».

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