Chi ha volato almeno una volta ben conosce lo sgradevole senso di pressione alle orecchie, che può esitare in vero e proprio dolore. Questa situazione è provocata dallo sbalzo di pressione atmosferica e dal conseguente ritardo da parte della tuba di Eustachio ad adeguare la pressione dell’orecchio medio con quella dell’ambiente in cui ci troviamo. Nelle stesse condizioni il dolore può essere percepito anche a livello delle ossa del massiccio facciale, in corrispondenza della proiezione dei seni paranasali. Oggi, in considerazione dell’utilizzo sempre più frequente dell’aereo sia per raggiungere luoghi di vacanza sia a scopo lavorativo, questo dolore può rappresentare un disagio non più trascurabile. Possiamo, in un certo senso, parlare di una nuova patologia: la “cefalea del frequent flyer”.
E se all’utilizzo dell’aereo non si può o non si vuole rinunciare, come bisogna comportarsi e come si può prevenire o risolvere il problema? Lo chiediamo al Dottor Luca Malvezzi, specialista di Otorinolaringoiatria in Humanitas.
Uno dei sintomi in rapida ascesa e motivo di frequente consultazione specialistica è la cefalalgia transitoria durante la fase di decollo e in particolare di atterraggio nei voli in aerei. Aggiungerei per esperienza che questo disagio si manifesta particolarmente nei voli a breve raggio, probabilmente perché gli aerei sono più piccoli e meno pressurizzati e perché si raggiunge rapidamente la quota di crociera e altrettanto velocemente si passa da questa alla fase di atterraggio. Pertanto l’escursione della pressione atmosferica è più repentina e può mettere in crisi il sistema di ventilazione dei seni paranasali.
L’anatomia della nostra faccia
Il massiccio facciale può essere considerato come un albergo a tante stanze (seni paranasali). Encefalo, occhi, nervi e vasi della testa sono circondati da molteplici stanze piene di aria, che hanno una funzione protettiva (fungendo da airbag naturali) e alleggeriscono il massiccio facciale, che altrimenti rappresenterebbe un pesante blocco d’osso appoggiato al collo. Tutti i seni paranasali hanno una via di ventilazione, attraverso cui prendono aria e scaricano muco verso le fosse nasali. Questa via però non è mai lineare, ma rappresentata da un vero e proprio labirinto di fini lamelle ossee ricoperte da mucosa.
Se un soggetto vola durante una rinosinusite virale o batterica, la cefalalgia nell’ambito dell’escursione pressoria può essere considerata “normale”, così come normale è considerato il dolore all’orecchio in queste condizioni.
La stessa situazione dolorosa tuttavia, si può percepire regolarmente durante i voli in aereo, anche in assenza di rinosinusite manifesta clinicamente. In questo caso la sintomatologia innescata dallo sbalzo pressorio è sostenuta dalla pressione d’aria all’interno del seno paranasale sulle terminazioni nervose della mucosa che lo riveste. Il dolore viene percepito a livello della proiezione dei seni paranasali sul volto, in particolare a livello frontale. La causa non è la flogosi acuta o cronica, ma l’architettura della via di drenaggio del seno paranasale, che in qualche individuo può essere talmente complessa, da limitare, in condizioni critiche, come il repertino e importante cambio di pressione atmosferica, la ventilazione del seno paranasale stesso.
L’utilizzo di steroidi nasali
Nelle cefalalgie con queste caratteristiche che possono manifestarsi anche in situazioni meno critiche di variazione pressorie, come a bordo di treni ad alta velocità, la soluzione non è certamente scegliere la bicicletta come mezzo di trasporto.
Alla valutazione otorinolaringoiatrica piò seguire una TC del massiccio facciale senza mezzo di contrasto, che consente di valutare l’architettura anatomica delle vie di drenaggio dei seni paranasali. Nel caso si evidenzi una complicazione anatomica di queste vie di drenaggio la soluzione può essere diversificata in relazione al disagio manifestato dal soggetto.
Una soluzione medica deve sempre essere proposta e sperimentata prima di suggerire e passare all’eventuale alternativa chirurgica. Infatti, l’utilizzo di steroidi nasali, efficaci nel decongestionare la mucosa naso-sinusale e favorire la clearance mucociliare, può essere il semplice e solo correttivo nel modulare correttamente il funzionamento dell’apparato di ventilazione rinosinusale.
L’intervento chirurgico: quando è necessario?
In caso di mancato o scarso beneficio nell’utilizzo degli steroidi nasali, oppure in caso di scarsa compliance da parte del paziente all’utilizzo prolungato e giornaliero di presidi medici, la soluzione chirurgica è vincente. Anzi, si dovrebbe per correttezza precisare, che, benché la chirurgia in questa situazione clinica sia da considerare una “soluzione del benessere”, ovvero finalizzata a migliorare la qualità di vita di un soggetto in alcune condizioni critiche, rappresenti nella realtà dei fatti l’unica arma efficace e definitiva. Infatti, il soggetto (se correttamente selezionato sulla base della clinica e del riscontro radiologico) viene sottoposto a un intervento chirurgico endoscopico rinosinusale, che comporta la scomposizione e semplificazione della via di drenaggio dei seni paranasali e che, consentendone la miglior ventilazione, porta a una risoluzione persistente del disagio sintomatologico. Benché non si possa definire alcuna chirurgia atraumatica, la FESS (chirurgia endoscopica rinosinusale), in particolare quando rappresenta un atto chirurgico minimizzato ad alcuni elementi rinosinusali, non è seguita dal posizionamento di tampone nasale, è priva di dolore post-operatorio, comporta la degenza di una sola notte in ospedale e alla dimissione è possibile riprendere le vita normale, di studio, lavorativo e perché no anche sportiva, salvo alcune eccezioni.