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Benessere

Il malato, cuore delle nostre attenzioni

17/09/2004

Qual è il comportamento più opportuno da adottare nei confronti di un parente colpito da infarto? “Non penso che ci sia un modo ‘diverso’ di comportarsi con i propri cari quando sono malati: la relazione non si modifica solo per via di una malattia o in occasione di un intervento chirurgico ma si costruisce nel tempo, e in occasione di un evento traumatico le dinamiche pregresse possono solo essere reiterate o amplificate. Ritengo che sia il buon senso e l’affetto di chi gli sta vicino ad aiutare il famigliare malato a riprendersi, un ambiente tranquillo e sicuro, nel quale le tensioni possano essere stemperate ed elaborate in modo costruttivo, senza lasciare la sensazione di essere in balia della malattia. Credo che sia importante ascoltare i medici curanti per essere sicuri di dare quanto più di adeguato e cercare di comportarsi nel modo più naturale possibile, mantenendo l’ambiente familiare ‘stabile’.”

Bisogna evitare di ricordare l’evento traumatico?
“La malattia cardiaca porta con sé una serie di modificazioni sostanziali: terapie da seguire nel tempo, modificazioni nelle abitudini quotidiane, come per l’alimentazione o l’attività fisica. Come è possibile non ricordare quello che è successo? Credo che parlandone ci si dia una possibilità per migliorare l’intimità con la persona malata, aprendosi al confronto con le proprie paure e le diverse prospettive in cui ci si è trovati durante la malattia.”

Spesso il malato vorrebbe riprendere subito le vecchie abitudini quotidiane, come fargli capire che non tutto può tornare come prima?
“Ognuno di noi ha una modalità personale di affrontare le situazioni critiche, e credo sia difficile, ad esempio, per un impulsivo aspettare che il tempo passi… Spesso i convalescenti si sentono proprio bene, quindi tendono riprendere vecchie abitudini che spesso sono controindicate per il momento delicato in cui si trovano. Per alcuni, poi, diventa una sorta di ‘gesto scaramantico’ che serve a circoscrivere l’evento critico in un momento a sé, lontano dalla vita di tutti i giorni, quasi a dire ‘non è successo a me’; altri, all’opposto, si sentono dei sopravvissuti e quindi pronti a tutto! Spesso le crisi familiari avvengono proprio in questo periodo, durante il quale ci si scontra su ogni cosa, quindi l’aiuto dei medici o degli specialisti è sicuramente utile. L’importante per i familiari è cercare di dare un messaggio positivo, che il proprio caro non è un inetto, incapace di tornare alla sua vita, ma che quanto accaduto è stato qualcosa di importante, perché ha messo la sua vita in pericolo ed esiste un rischio di ricaduta. Penso che sia comunque un problema di coscienza della malattia: se il malato non ha preso contatto con l’avvenimento critico, diventa un’impresa quasi impossibile, per chi gli sta intorno, aiutarlo a gestire la sua convalescenza.”

Come affrontare i segnali di disagio o insofferenza nei confronti della malattia?
“Penso che essere un po’ morbidi all’inizio, accettando un parente magari scontroso o ribelle, possa essere plausibile: il malato sta provando dentro di sé sentimenti contrastanti e sconvolgenti, e alle volte non si sente più a suo agio nei luoghi del passato, che sono rimasti immutati, mentre lui si sente profondamente cambiato. Per altri, invece, il rientro tra le pareti domestiche non fa latro che rassicurarli e farli sentire protetti, nel proprio guscio. Anche in questo caso farsi consigliare da uno specialista che conosce il caso specifico è l’ideale, spesso infatti ciò che è utile a qualcuno, non lo è per tutti. In questo caso, chiedere aiuto ad uno psicologo, chiarendo la situazione specifica, potrebbe essere una strategia utile.”

A cura della Redazione

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