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Epatite C, vaccino made in Italy

22/01/2002

Sono almeno 200 milioni nel mondo i portatori più o meno “sani” del virus dell’epatite C. Un numero largamente superiore ai contagiati da virus HIV, responsabile dell’Aids. Ma i malati di epatite cronica di tipo C, la stragrande maggioranza (9 su 10), sono asintomatici cioè non presentano sintomi della malattia, anche per 10-15 anni, pur costituendo una notevole causa d’infezione per le altre persone sane. In Italia si calcola che circa l’1-2 per cento della popolazione sia stata infettata dal virus dell’Epatite C (HCV)responsabile della malattia divenendone portatore sano. Oggi l’epatite cronica di tipo C si può curare con efficacia, grazie alle nuove terapie, mentre la ricerca sta facendo progressi incoraggianti: si confida molto in un nuovo vaccino made in Italy, sperimentato da un’equipe di ricercatori della Chiron Vaccines di Siena.
Il gruppo di scienziati è coordinato dal dottor Sergio Abrignani, lo stesso che nel novembre 1998 aveva scoperto la molecola CD81, cioè il punto utilizzato dal virus HCV per entrare nelle cellule epatiche umane.

Qual è il meccanismo d’azione del vostro vaccino?
“Più di tre anni fa abbiamo individuato – spiega il dottor Sergio Abrignani – la porta d’ingresso del virus dell’epatite C nelle cellule del fegato. Il nuovo vaccino agisce stimolando la produzione di anticorpi e linfociti. I primi impediscono l’ingresso del virus nell’epatocita riducendo la carica infettante e limitando di gran lunga il numero di cellule che vengono attaccate dall’HCV; i linfociti T eliminano le poche cellule che il virus riesce ad infettare. In altre parole, il vaccino induce sia una risposta anticorpale che una risposta linfocitaria T. Dai nostri studi, sappiamo pure che nessuna di queste due risposte specifiche da sola è sufficiente per contrastare l’infezione: occorrono entrambe. A livello molecolare, il vaccino induce la produzione di anticorpi che interferiscono sul legame del virus HCV con la molecola CD81. Quest’ultima è una sorta di scaletta d’ingresso che viene fatta saltare nel meccanismo dell’infezione, rendendo così molto più difficile la vita al virus”.

E’ una ricerca tutta italiana?
“Certamente. Già nel 1989 – conferma Abrignani – il nostro gruppo aveva scoperto, insieme ad altri, l’esistenza dell’HCV, il terzo dei virus epatitici, quello più diffuso. Dal 1990 è disponibile un test per rilevare gli anticorpi prodotti dal nostro sistema immunitario contro di esso: sono gli anticorpi anti-HCV. Il virus non è mai stato visto al microscopio o isolato in laboratorio, ma si sa che esiste perché noi scienziati ne abbiamo evidenziato l’RNA, il codice genetico della molecola, mediante sofisticati strumenti. Abbiamo scoperto di aver a che fare con un virus parecchio trasformista: ogni genotipo (la classe genetica, ndr) di HCV è caratterizzato da una diversa aggressività o capacità di replicarsi. Fra classi e sottoclassi, i genotipi sono 10 con un centinaio di sottotipi: quelli prevalenti nella popolazione mondiale sono i genotipi 1 e 2”.

Come si è svolta la sperimentazione sul vaccino
“La prima fase di sperimentazione sugli animali è stata esaurita”, chiarisce il dottor Abrignani. “Tutti gli esperimenti sono stati fatti finora con virus eterologhi, cioè diversi da quello utilizzato per il vaccino, ma di genotipo 1. Ora stiamo provando a vedere, sugli scimpanzé, che cosa succede con genotipi diversi. Avremo i risultati definitivi fra un anno circa. Questi esperimenti hanno finora dimostrato che si può proteggere l’animale dall’infezione cronica: gli scimpanzé vaccinati si infettano ma non contraggono la malattia perché l’infezione viene risolta entro sei mesi dalla vaccinazione: quindi il vaccino è certamente terapeutico per questa specie animale. E’ una sostanza efficace per prevenire l’infezione cronica, che così è risolta nel 90% dei casi”.

E’ già partita la sperimentazione del vaccino sull’uomo
Il dottor Abrignani non nasconde la sua emozione nel dare l’annuncio: “E’ questa la novità assoluta. E’ in corso, dal novembre scorso negli Stati Uniti, la sperimentazione del nostro vaccino anti epatite C, sull’uomo. Stiamo facendo la sperimentazione oltre Oceano per motivi tecnici e burocratici. Siamo in piena fase 1, che durerà un anno: a 60 persone sane è stato somministrato il “candidato vaccino” a scopo preventivo; altri 40 volontari, già infettati dal virus, si sono sottoposti alla cura vera e propria con l’altra variante del vaccino. Le prove cliniche sui malati dovranno dimostrare l’efficacia terapeutica del nuovo farmaco. E sarebbe una grande conquista per tutto il mondo scientifico. Finora, infatti, non esistono al mondo vaccini terapeutici contro nessuna malattia. Nel nostro caso, stiamo cercando di sapere se il nostro preparato – dato a persone con infezione da epatite C in corso da anni – riesce a modificare in meglio l’andamento dell’infezione. Ma il nostro studio è appena agli inizi. Non abbiamo a disposizione dati significativi e perciò andrei molto cauto”.

Che tempi occorrono per sapere se il vaccino funziona anche sugli uomini?
“Abbiamo la certezza – spiega ancora Abrignani – che il nostro “candidato vaccino” non è nocivo e induce risposte immunitarie nelle persone a cui è stato somministrato.
E’ chiaro che stiamo parlando di esperimenti molto lunghi perché, per avere risultati sulla protezione effettiva dall’infezione cronica da HCV, bisogna attendere almeno un anno. Tuttavia, abbiamo verificato sui volontari sani che il vaccino a scopo preventivo è sicurissimo, non nocivo e induce ottime risposte immunitarie. Poi dovrà seguire una fase 2, per un altro anno, su un gruppo di 200 pazienti. La fase 3 si estenderà ad alcune migliaia di persone. La sperimentazione sull’efficacia del nuovo vaccino dovrebbe concludersi in 5 anni, entro il 2006 o il 2007. Devo precisare che stiamo portando avanti la fase 1 nell’uomo su quei soggetti già infettati che non hanno risposto alla cura con Interferone. I primi dati arriveranno fra un anno o un anno e mezzo. In questa fase ci siamo posti due obiettivi: verificare la sicurezza del preparato; non peggiorare le condizioni generali del paziente”.

Ma funzionerà sempre, con tutti i genotipi di HCV, il vaccino che state sperimentando?
“E’ proprio questo il punto che ci fa essere ottimisti. Sappiamo che non vi sono differenze fra i due genotipi maggiori dell’HCV, l’1a e l’1b. Nel mondo occidentale, circa il 50% della popolazione è infettato proprio da questi due particolari genotipi e il vaccino sperimentale è risultato efficace in entrambi i casi. Questo è un dato importante perché la risposta all’Interferone e alla Ribavirina (la terapia d’elezione per l’epatite C) è efficacissima nell’80-90% dei casi se la persona è stata infettata da HCV di genotipi 2 e 3; è meno efficace, abbassandosi al 40-50%, se l’infezione avviene ad opera dei genotipi 1a e 1b. Quindi, l’aver dimostrato che il vaccino funziona proprio in questi ultimi casi, ci fa ben sperare anche per le cure future sull’uomo”.

Le vie di contagio del virus HCV: la malattia si scopre “casualmente”
L’epatite di tipo C è una malattia subdola, che si manifesta soprattutto quando diventa cronica. Si scopre “per caso”, magari con un controllo di routine sul sangue.
Il contagio avviene attraverso il contatto con il sangue o le sue componenti specifiche infette (emoderivati): plasma, globuli rossi, bianchi o piastrine. La diffusione di questa malattia è maggiore rispetto all’Aids perché il virus HCV è più resistente alla temperature esterne, fuori dall’organismo umano. Così il contagio fra persone infette e sane è molto più probabile. Oggi però il gruppo a maggior rischio di contagio è quello dei tossicodipendenti, attraverso il passaggio di siringhe infette usate da un “portatore della malattia” ad uno sano. Al secondo posto, ma con minime possibilità, c’è il contagio durante i rapporti sessuali. Più probabile, anche questo, se uno dei partner è tossicodipendente già contagiato dal virus. E’ da sottolineare un aspetto molto discusso: le trasfusioni di sangue oggi sono assolutamente sicure. Prima del 1990 molte persone sono state infettate in seguito alle trasfusioni perché il virus HCV era ancora poco noto. Da allora il virus viene testato in maniera certa ed efficace in tutti gli emoderivati.

Cosa deve fare un malato di epatite C cronica
Risponde il dottor Maurizio Tommasini, responsabile dell’Unità operativa di Medicina Generale ed Epatologia di Humanitas: “La prima cosa da fare è seguire una dieta e moderare il consumo di alcolici e superalcolici. E’ assolutamente proibito fare uso di farmaci senza controllo medico. Dobbiamo ricordare, infatti, che tutte le medicine vengono eliminate attraverso il fegato. Basti pensare che in una persona normale molti farmaci si rivelano tossici, in una con il fegato malato lo sono ancora di più. I più a rischio? Sono gli antinfiammatori in generale e tutti gli antibiotici per la cura della tubercolosi”.

Alcuni consigli per evitare il contagio da HCV
“Attenzione” avverte il dottor Tommasini, “infettarsi con il virus è molto difficile. Ciò costituisce un paradosso, in considerazione dell’alto numero di persone contagiate. Devono perciò sussistere due fattori: una concentrazione di virus infettante molto alta in relazione ai bassi livelli circolanti nel sangue e alla sua labilità; la persona attaccata deve essere immunologicamente debole. Se vengono soddisfatte queste condizioni, può essere a rischio d’infezione chiunque venga a contatto con sangue infettato dal virus – spiega il dottor Tommasini – attraverso aghi da siringa, ma anche con la pratica dei tatuaggi o del piercing. Controllate perciò che la persona che esegue questi interventi di “piccola chirurgia” sia titolata a farli e abbia sterilizzato lo strumentario o, meglio, esegua il suo lavoro con materiali monouso. Inoltre, se si vive a stretto contatto con un portatore di epatite C è meglio: usare il preservativo durante i rapporti sessuali occasionali o con persone a rischio; evitare lo scambio di siringhe tra tossicodipendenti; utilizzare esclusivamente oggetti monouso – ad esempio le siringhe – o personali, come lo spazzolino da denti, pettini, rasoi, forbici. E infine: disinfettate sempre gli oggetti che possono essere contaminati dal virus”.

Le cure mediche oggi a disposizione: Interferone e Ribavirina
L’epatite C cronica oggi si cura con l’Interferone associato alla Ribavirina per bocca: l’efficacia è del 40-50%”, spiega il professor Antonio Gasbarrini, associato di Medicina Interna all’Università Cattolica-Policlinico Gemelli di Roma. “Esiste da poco tempo un nuovo farmaco che ci sta dando grandi soddisfazioni: è l’Interferone peghilato, così chiamato perché è legato ad altre sostanze che ne favoriscono l’assorbimento. Questo nuovo tipo di Interferone si somministra con un’infusione sottocutanea ogni settimana sfruttando il fatto che il farmaco rimane a lungo nel sangue. Ogni ciclo di Interferone dura dai 6 mesi ad un anno, se è necessario. Questa nuova cura non prevede la somministrazione a giorni alterni, per tre volte alla settimana, come il vecchio Interferone alfa, che presentava problemi di tolleranza e tossicità per i malati: non si potevano usare dosi elevate, abbassava il numero dei globuli rossi e bianchi, dava effetti collaterali simili all’influenza.
Inoltre l’associazione Interferone Peghilato-Ribavirina si è rivelata efficace nel 60-70% dei casi, perché induce la formazione di anticorpi che eliminano il virus HCV”

E per quei malati di epatite C cronica che non dovessero rispondere a questa terapia?
“Se la cura si dovesse rivelare poco o per nulla efficace – precisa il professor Gasbarrini – si può passare ad un secondo ciclo degli stessi farmaci associati ma a dosi più alte: modificando la posologia, si estenderà l’efficacia ad un altro 20-30% di persone. E per chi non risponde a nessun tipo di terapia, si somministreranno più cicli di Interferone. In genere, la cura si inizia in ospedale e si prosegue a casa. Nella fase iniziale la terapia può dare effetti collaterali simili ai sintomi dell’influenza, ma in generale è efficace e ben tollerata”.

A cura di Umberto Gambino

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