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Obesi, perché? Quanto conta l’aspetto psicologico

14/05/2002

Quando si parla di obesità grave non ci si riferisce semplicemente a un problema estetico causato da un eccessivo consumo alimentare, né a un disturbo psicopatologico vero e proprio, ma a una malattia nella quale convergono molti fattori. Le cause genetiche, ambientali, socioculturali, educative si intrecciano con aspetti comportamentali e psicologici.
Agnese Rossi, psicologa di Humanitas Gavazzeni, spiega il percorso psicologico dei pazienti obesi che si sottopongono all’intervento di bendaggio gastrico regolabile. Dalle difficoltà e dai disagi di un corpo troppo ingombrante ed estraneo, alla soddisfazione dell’autocontrollo e della cura del proprio corpo.

“Dal punto di vista psicologico, le dinamiche che si instaurano sono molto complesse e una buona parte dei pazienti, in particolare donne, presenta un disagio psichico che può essere sia causa sia conseguenza del sovrappeso – spiega la dott.ssa Rossi. Di frequente, infatti, descrivono un rapporto conflittuale e problematico con il cibo, dove si scontrano il desiderio irrefrenabile di alimentarsi e la frustrazione che ne deriva. Spesso il cibo non è apprezzato né gustato, ma ingurgitato per riempire in fretta un opprimente senso di vuoto interiore, confuso con la sensazione di fame vera e propria. Nella maggior parte dei casi queste problematiche hanno inizio in seguito a diete rigide e severe, che portano a demonizzare il cibo e a un controllo esasperato della fame. La conseguenza è la riduzione del controllo fisiologico della fame e lo sviluppo di un pensiero ossessivo riguardo al peso. Queste persone attribuiscono al cibo molti significati simbolici, che portano a tendenze alimentari disordinate e scorrette”.

Mangiare allora può diventare l’unica risposta indiscriminata a difficoltà affettive ed emotive, in mancanza di altre possibilità espressive. “Può compensare un’affettività carente e non gratificante, può placare un’aggressività che non viene esternata in altri modi, può calmare momentaneamente stati d’ansia o attenuare sintomi depressivi, può consolare delusioni o fallimenti, può alleggerire la sofferenza conseguente ad eventi traumatici (lutti, separazioni…). Spesso la rabbia, la tensione, la noia ed altre emozioni sono confuse con la fame, che in questi casi non è fisiologica, ma ha origini psicologiche. Tutto questo può innescare un circolo vizioso tra malessere psichico e assunzione eccessiva di cibo, due aspetti che si rinforzano a vicenda e sono vissuti entrambi negativamente, come causa di vergogna e sensazione di colpevolezza.
E’ quindi importante, per prima cosa, approfondire quali vissuti psicologici del passato e del presente nella storia personale del paziente hanno favorito questa modalità di rapportarsi con il cibo”.

Perché su alcuni pazienti si decide di intervenire chirurgicamente?
La storia alimentare del paziente con obesità è costellata da una serie infinita di tentativi di diete intraprese ma interrotte con risultati fallimentari.
Oltre al tentativo di risolvere problemi medici causati dal sovrappeso, ciò che motiva il paziente a decidere per l’intervento è un disagio generalizzato che l’obesità comporta. Molti pazienti si sentono “non normali”, “diversi” o addirittura “discriminati” socialmente a causa del loro peso che crea notevoli ostacoli sia psicologici che fisici (spesso non riescono, per esempio, a guidare, a salire una rampa di scale o a vestirsi come vorrebbero).
Percepiscono il loro corpo come “estraneo”, “debordante”, “senza confini” e rifiutano la loro immagine corporea con conseguenti difficoltà relazionali e di accettazione di sé. E’ attraverso questo corpo, “imprigionato dal peso, ingombrante e da trascinare”, che il paziente racconta la propria sconfitta nei confronti del controllo di sé e dei propri bisogni. Sensazioni di impotenza, di inadeguatezza e di colpa accompagnate da un basso livello di autostima portano inevitabilmente alla ricerca di un aiuto concreto (spesso definito dai pazienti “l’ultima spiaggia” per lottare contro il continuo accumulo di peso) per instaurare un rapporto diverso con il cibo, con il proprio corpo e con gli altri.
E’ importante, a questo punto, informare i pazienti che l’intervento del bendaggio gastrico non consiste in una soluzione magica dell’abuso alimentare né dei problemi psicologici legati all’obesità, in modo da attenuare aspettative irrealistiche e deresponsabilizzanti. Richiede invece un ruolo attivo e collaborante per mettere in atto i cambiamenti necessari per acquisire non solo uno stile alimentare corretto, ma anche uno stile di vita più gratificante.

Quali cambiamenti psicologici accadono dopo l’intervento di bendaggio gastrico?
Nelle fasi successive all’intervento, i primi cambiamenti che il paziente attua sono relativi al trattamento dietetico. Questa nuova modalità di alimentarsi, più equilibrata e corretta, è quasi sempre vissuta come gratificante, in quanto permette di esercitare un autocontrollo sul cibo. Assumono perciò maggiore importanza la qualità e il gusto del cibo piuttosto che la quantità.
Si affina così la percezione di ciò che il corpo comunica “da dentro”, come i segnali di fame e di sazietà, meccanismi prima alterati e confusi con altre sensazioni o emozioni.
Parallelamente alla perdita di peso, il corpo viene sempre più accettato, rivalutato e curato (per esempio con attività fisica costante e cure estetiche). Viene riscoperta la ricchezza del linguaggio del corpo, che diventa gradualmente uno strumento più adeguato di comunicazione e di relazione e non è più vissuto come causa di imbarazzo e disagio.
Questi vissuti portano la maggior parte dei pazienti ad acquisire maggiore sicurezza nelle proprie potenzialità, a sviluppare un atteggiamento assertivo ed un’immagine di sé positiva.
Cambia anche il linguaggio utilizzato nei riguardi dell’alimentazione. Se le restrizioni dietetiche sono connotate da una terminologia collegata a qualcosa di costrittivo (“cibi cattivi”, “dieta ferrea e punitiva”, “non si può sgarrare”..), ora il “vocabolario alimentare” si arricchisce di nuovi significati: mangiare significa “fare esperienza”, esperire sapori piacevoli e riscoprire il piacere gustativo e socializzante del cibo.

La testimonianza diretta
Le parole di una paziente di 48 anni – con bendaggio gastrico da diversi mesi e con un calo ponderale di circa 20 kg – sono un esempio interessante e coinvolgente di questo nuovo modo di alimentarsi, e quindi di vivere, successivo all’intervento chirurgico. Racconta di percepire il suo corpo cambiato non solo esteticamente, ma emerge anche una maggiore consapevolezza delle sue sensazioni corporee, delle sue impressioni relative a come si mette in rapporto con gli altri e con la realtà. E’ un corpo di cui ora percepisce i confini e sul quale riesce ad esercitare un controllo costante e piacevole. Ha instaurato inoltre un nuovo rapporto con il tempo, che ora non è scandito solo dall’assunzione di cibo, ma le sue giornate sono gestite con più autonomia, in base ai suoi bisogni, prima non chiari e sottovalutati, o comunque dominati dal pensiero rivolto al cibo. I suoi ritmi e le sue a attività erano molto rallentati dalle difficoltà motorie dovute al peso. Infine definisce il suo modo di pensare più “lucido”, non più “annebbiato” perché alleggerito dai pensieri negativi che prima accompagnavano il suo sentirsi “inadeguata e deforme”.

A cura di Francesca Di Fronzo

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