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Intestino e digestione

Malattia di Crohn, quando è necessario l’intervento chirurgico?

11/10/2017

Il trattamento della malattia di Crohn, una delle due malattie infiammatorie croniche intestinali assieme alla colite ulcerosa, prevede diverse opzioni terapeutiche: terapie farmacologiche, quando necessario, terapie chirurgiche. Ma in quali casi bisogna ricorrere all’intervento chirurgico? Ne parliamo con il professor Antonino Spinelli, responsabile dell’Unità Operativa di Chirurgia del Colon e del Retto dell’Istituto Clinico Humanitas e docente di Humanitas University.

L’obiettivo del trattamento della malattia di Crohn è il controllo efficace dei sintomi e la prevenzione delle complicanze, alleviando l’impatto della patologia e migliorando la qualità di vita dei pazienti. Circa il 70% dei pazienti affetti da malattia di Crohn ricorre alla chirurgia nel corso della propria vita, quando le terapie farmacologiche non sono più in grado di controllare i sintomi o vi è l’evidenza di complicanze, risolvibili solo da un intervento chirurgico. Fistole, ascessi (soprattutto perianali) e stenosi intestinali sono le principali complicanze della malattia e sono quelle che più frequentemente richiedono il trattamento chirurgico. Il tipo di trattamento dipende dall’estensione e dalla gravità delle lesioni.

(Per approfondire leggi qui: Malattia di Crohn e osteoporosi, come proteggere la salute delle ossa?)

I benefici

La chirurgia in generale ha il grande potenziale di migliorare rapidamente la qualità di vita di pazienti nei quali i tentativi farmacologici non sono stati efficaci ma non è tuttavia risolutiva, poiché la malattia di Crohn è una patologia cronica in cui potrebbe ripresentarsi in futuro la necessità di un nuovo intervento. Per questo motivo sono state sviluppate tecniche chirurgiche specialistiche tese a risparmiare il più possibile l’intestino (stritturoplastiche) e a ledere meno possibile la parete addominale (laparoscopia e chirurgia mininvasiva in genere).

Nonostante i notevoli progressi della chirurgia moderna, a tre anni di distanza dall’intervento, circa l’80% presenta segni di ricomparsa di malattia all’endoscopia ed una parte di questi pazienti potrebbe necessitare di nuovi interventi in futuro. Lo sviluppo delle terapie farmacologiche e, in particolar modo l’introduzione dei farmaci biologici, possono contribuire ad abbassare la recidiva e con essa la necessità di ulteriori interventi chirurgici.

(Per approfondire leggi qui: Crohn, una nuova terapia con le staminali? Dalla ricerca segnali positivi)

Per questo motivo riteniamo importante la sinergia tra chirurgo e gastroenterologo, in modo da poter affiancare alla terapia chirurgica il successivo prosieguo della terapia farmacologica, riducendo e ritardando la comparsa delle recidive.

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