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Intolleranza al lattosio e vitamina D, quale relazione?

05/06/2017

L’intolleranza al lattosio si caratterizza per l’incapacità di digerire il lattosio, lo zucchero contenuto nel latte e nei prodotti da esso derivati. Questa problematica può accompagnarsi anche a un’altra condizione, la carenza di vitamina D. Ne parliamo con gli specialisti dell’Unità Operativa di Gastroenterologia di Humanitas.

Una conferma di questa associazione arriva da una ricerca della University of Toronto (Canada) e pubblicata di recente sul Journal of Nutrition. Lo studio, che ha coinvolto poco meno di 1500 individui di entrambi i sessi, da 20 a 29 anni di età, ha visto come i soggetti con intolleranza al lattosio di origine genetica presentavano un livello di vitamina D più basso della popolazione generale.

Vitamina D ed esposizione ai raggi solari

La forma di intolleranza al lattosio considerata era quella caratterizzata da una variazione del gene LCT, il gene responsabile della produzione di lattasi, l’enzima necessario per digerire il lattosio. Le mutazioni del gene sono associate a un deficit congenito di lattasi.

(Per approfondire leggi qui: “Intolleranza e allergia, sinonimi dello stesso disturbo”, vero o falso?)

La vitamina D è un micronutriente molto importante per l’organismo, per i muscoli, ad esempio, e soprattutto per le ossa. Questa vitamina regola il metabolismo del calcio, a sua volta fondamentale per la mineralizzazione delle ossa tanto è vero che un suo deficit può essere causa di rachitismo nei bambini. Le fonti di vitamina D sono di origine alimentare ma per la sua sintesi è decisiva l’esposizione ai raggi del sole.

Perché l’intolleranza al lattosio spesso è associata alla carenza di vitamina D?

In realtà non è chiaro il motivo, in quanto, innanzitutto l’apporto alimentare di vitamina D copre solo il 20% del fabbisogno del nostro organismo, essendo il restante 80% dovuto all’esposizione solare. Inoltre gli alimenti più ricchi in vitamina D sono alcuni tipi di pesce (come aringa, tonno, alici, acciughe, pesce spada, sgombro, salmone), uova e funghi. Il latte di per sé, ne contiene una minima quantità (un decimo rispetto a quella che si trova nel salmone) tanto è che negli Stati Uniti e Nord America viene “fortificato” con supplementazioni vitaminiche.

Probabilmente i soggetti studiati, avendo eliminato latte e latticini (compreso il burro che contiene più vitamina del latte normale), non assumono un quantitativo adeguato degli altri alimenti che ne sono molto più ricchi. I risultati dello studio scientifico pubblicato sono senza dubbio veritieri, ma probabilmente non dipendono dalla restrizione dietetica, bensì da alterazioni concomitanti dei geni della lattasi e del recettore per l’assorbimento della vitamina D.

Come devono comportarsi allora i soggetti intolleranti?

Seguendo una corretta alimentazione, comprendente l’ampia varietà di pesci già in parte elencata, unita a una regolare esposizione solare (sono sufficienti 15 minuti al giorno passeggiando all’aria aperta), non dovrebbero manifestarsi carenze vitaminiche. E tanto meno in chi non assume latte vaccino per un problema di intolleranza. La supplementazione con vitamina D ha ragion d’essere in situazioni in cui si ha maggior predisposizione alla riduzione della densità ossea (cioè l’osteoporosi), come nella donna in menopausa e nei soggetti anziani di entrambi i sessi.

(Per approfondire leggi qui: Intestino, il lattosio è causa d’infiammazione?)

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