Speranza di vita in aumento per i pazienti colpiti dall’HIV. Per un ventenne che abbia cominciato una terapia antiretrovirale dal 2008, con bassa carica virale dopo un anno, l’aspettativa di vita sarebbe vicina a quella della popolazione generale. È la conclusione di uno studio della University of Bristol (Regno Unito) pubblicato su Lancet HIV. Inoltre, dall’introduzione della terapia antiretrovirale a metà anni ‘90, l’aspettativa di vita dei pazienti in trattamento contro l’infezione sarebbe aumentata di circa 10 anni in Europa e Nord America. Il commento del professor Domenico Mavilio, docente dell’Università degli Studi di Milano e responsabile dell’Unità di Immunologia Clinica e Sperimentale di Humanitas.
I ricercatori hanno ricavato i dati relativi a 88.504 pazienti da 18 studi condotti in Europa e Nord America. Questi pazienti erano entrati in terapia antiretrovirale tra il 1996 e il 2010. Tra i pazienti che avessero cominciato questa terapia fra il 2008 e il 2010, il numero dei decessi era inferiore rispetto a chi l’avesse seguita negli anni precedenti. Il team ha guardato anche ad alcuni indicatori dell’efficacia del trattamento: fra il 1996 e il 2010, a un anno dal trattamento, è aumentato il numero medio di cellule immunitarie CD4 mentre la proporzione di pazienti che presentavano una bassa carica virale era aumentata dal 71% al 93%.
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Il risultato di questi avanzamenti è che, tra il 1996 e il 2013, l’aspettativa di vita per un ventenne in terapia è aumentata di 9 anni nelle donne e 10 negli uomini di Europa e Nord America. Infine, secondo le proiezioni basate sui decessi nel secondo e terzo anno di trattamento, la speranza di vita per un ventenne entrato in terapia antivirale tra il 2008 e il 2010, sarebbe pari a 73 anni negli uomini e 73 nelle donne. Questi miglioramenti non sono stati osservati in tutti i gruppi contagiati: l’aspettativa di vita dei pazienti infettati dopo aver assunto sostanze per via iniettiva non aumentava tanto quanto le altre popolazioni.
In che modo la terapia antiretrovirale ha cambiato il trattamento dell’infezione da HIV?
«Di sicuro questi ultimi risultati sono estremamente positivi, ma non ci devono fermare nella ricerca di una cura definitiva», risponde il professor Mavilio. «È sempre bene ricordare, infatti, che queste aspettative più lunghe di vita media nei pazienti HIV-1 positivi in terapia richiedono un’assunzione costante di almeno tre diversi principi farmacologici per tre volte al giorno. Oltre a richiedere un impegno quotidiano costante, sono terapie che danno molti effetti collaterali con cui i pazienti devono abituarsi a convivere e che devono monitorare costantemente. Inoltre bisogna considerare che l’aderenza del paziente alla terapia è fondamentale per evitare la comparsa di resistenza farmacologica, un fenomeno che accade molto facilmente e di frequente quando ci si dimentica saltuariamente di assumere le compresse giornaliere».
«Certamente questo trattamento antivirale iniziato nel 1995 ha cambiato la storia naturale e la prognosi della malattia, ci ha fatto uscire dalla fase definita come “dark age” in cui le persone che contraevano l’infezione andavano incontro, nel 99% dei casi, alla progressione verso l’AIDS e alla morte. La terapia antivirale, sappiamo ora, è associata anche a una più lunga aspettativa di vita seppure non per tutti. Ma non dobbiamo dimenticare che questi risultati si ottengono a fronte di un impegno costante e non portano a guarigione in nessun caso. Troppo spesso il concetto del “non si muore più di AIDS” è stato associato a quello erroneo per cui “di AIDS si guarisce”. Questo specialmente nei Paesi occidentali dove si può accedere alla terapia antiretrovirale e dove purtroppo si è verificata, a fronte di questa pericolosa associazione, un aumento di nuove infezioni legate a mancanza di prevenzione e informazione».
Qual è stata l’evoluzione di questi farmaci negli anni?
«L’industria farmacologica e la ricerca scientifica – ricorda il professor Mavilio – hanno prodotto moltissime nuove molecole nel corso degli ultimi vent’anni. Moltissime di queste molecole colpiscono sempre gli stessi target cellulari o virali che bloccano la replicazione e fermano HIV-1. La loro efficacia è spesso maggiore ma purtroppo non riescono ancora oggi a eradicare definitivamente l’infezione. La strada dei vaccini terapeutici o preventivi è stata anch’essa molto seguita ma non ha portato a nessun risultato soddisfacente. Infatti l’unico protocollo vaccinico che ci ha dato qualche speranza è stato eseguito in Thailandia nel 2004 e ha prodotto solo il 31% di protezione, un numero troppo basso per pensare di usarlo su scala globale».
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«A oggi sono alla studio moltissime nuove molecole che aggrediscono diversi target cellulari o virali con lo scopo di eradicare l’infezione. Molti di questi sono già in fase di sperimentazione clinica sull’uomo ma sappiamo già che ci vorranno ancora molti anni perché si giunga a una cura definitiva e che abbiamo bisogno di capire ancora molto sulla patogenesi della malattia», conclude lo specialista.