Da anni gli scienziati lavorano per trovare una cura definitiva per l’infezione da HIV con risultati sino ad ora molto deludenti. È notizia di questi giorni una sperimentazione clinica condotta nel Regno Unito che ha mostrato dei risultati molto incoraggianti riportati “in anteprima” dal quotidiano inglese Sunday Times. Il primo dei 50 pazienti sottoposti a questa terapia sperimentale non mostra più alcun segno del virus nel sangue dopo aver assunto un nuovo cocktail di farmaci con diversa modalità di azione. Questo studio è attualmente in corso in 5 prestigiosi atenei inglesi altamente qualificati in questo settore (Oxford, Cambridge, Imperial College, University College London e King’s College) sotto il coordinamento del National Health Service, il sistema sanitario nazionale britannico. La presunta eradicazione del virus nel primo soggetto arruolato nel trial clinico riportato dal tabloid britannico ha subito avuto un grande eco sui media nazionali ed internazionali.
Nel 2015 2 milioni di pazienti con HIV hanno iniziato terapia con antiretrovirali
Al mondo ci sono circa 36,7 milioni di persone che convivono con un’infezione da HIV, dice l’Oms, l’Organizzazione mondiale della Sanità (anno di riferimento 2015). Sono invece 17 milioni le persone che stanno seguendo una terapia a base di farmaci antiretrovirali, di cui 2 milioni a partire proprio dal 2015. La terapia standard antiretrovirale punta a fermare il virus bloccandone la replicazione e la sua diffusione ad altre cellule ed organi. Una terapia che prevede l’assunzione quotidiana più volte al giorno di diversi farmaci che bloccano la progressione della malattia, ma non riescono ad eliminare definitivamente il virus dal nostro organismo. Farmaci che peraltro danno importanti effetti collaterali a lungo termine ed a cui gli stessi pazienti diventano spesso resistenti. Ne parliamo con il professor Domenico Mavilio, docente dell’Università degli Studi di Milano e responsabile dell’Unità di Immunologia Clinica e Sperimentale presso l’ospedale Humanitas.
(Per approfondire leggi qui: Aids, infezioni da Hiv in aumento. I consigli per la prevenzione)
«La nuova terapia sperimentale combina l’utilizzo di tradizionali farmaci antiretrovirali con un farmaco addizionale che è in grado di riattivare lo stesso virus, un approccio che mira a scovare e distruggere il virus in ogni parte dell’organismo e che supererebbe in efficacia le opzioni terapeutiche oggi disponibili. La grossa novità di questo protocollo è che in questo primo paziente di 44 anni non vi sono tracce di virus circolante negli esami del sangue eseguiti a seguito della nuova terapia».
«Casi clamorosi come questo – prosegue il professore – che hanno fatto sperare in una possibile eradicazione del virus con diverse strategie terapeutiche si sono ripetuti nei recenti anni, ma ad oggi non si è ancora raggiunto il risultato da tutti sperato. Anche se indubbiamente questi casi isolati hanno dato indicazioni molto importanti per capire meglio la storia naturale della malattia e per la ricerca di una terapia definitiva. Molti ricorderanno certamente il caso riportato lo scorso anno della paziente 18enne francese nella quale il virus dell’HIV era regredito a 12 anni dalla sospensione della terapia antiretrovirale. O ancora nel 2013 quello della “Bambina del Mississippi” che si pensava fosse guarita dell’infezione perché aveva cominciato una terapia antiretrovirale dopo sole 30 ore dalla nascita».
(Per approfondire leggi qui: Hiv, virus regredisce dopo 12 anni dalla sospensione della terapia)
Quale sarebbe il punto di forza di questa nuova terapia e perché è importante intercettare anche le cellule dormienti di HIV?
«I farmaci antiretrovirali ora disponibili in terapia sono già in grado di impedire in modo molto efficace la replicazione del virus. Il problema è che non lo riescono a stanare da quei serbatoi cellulari meglio conosciuti come viral reservoirs in cui il virus si nasconde in uno stato di quiescenza senza replicarsi. Questo processo, chiamato latenza virale, rende di fatto il virus invisibile ai farmaci tradizionali. Questa nuova terapia mira a far svegliare il virus da questa latenza e a farlo uscire allo scoperto in modo che sia aggredibile poi dai farmaci antiretrovirali convenzionali. Una strategia già attuata in passato all’inizio di questo secolo con molecole come IL-2 e che non ha prodotto i risultati sperati nonostante le grosse attese iniziali. I primi risultati della nuova sperimentazione sono certamente incoraggianti e instillano molto ottimismo, ma vanno presi con una certa cautela per quelli che sono prima di cantare vittoria e non ripetere gli errori fatti in passato. Ricordiamo inoltre che si tratta di informazioni preliminari ed incomplete peraltro rilasciate da organi di stampa e non pubblicate da una rivista scientifica o divulgate da una istituzione scientifica che riportano nel dettaglio le modalità e i risultati di questa sperimentazioni. Ci sono ancora troppi punti interrogativi a cui bisogna dare una risposta, ma questa anticipazione ci spinge certamente a continuare in questa direzione».
Cosa dovrebbe succedere affinché questa terapia possa essere considerata definitiva o cosa potrebbe vanificarne l’efficacia?
«Che l’assenza del virus sia duratura e permanente. Questo significherebbe che la terapia riesce a raggiungere anche i serbatoi virali più remoti e nascosti come quelli che noi sappiamo esistere nei reni o nel sistema nervoso centrale oltre che nelle cellule immunitarie T CD4+. Saremmo a quel punto certi di avere una potente arma terapeutica che riesce a far svegliare il virus dappertutto e a fermare la sua replicazione senza che si formi più il fenomeno della latenza virale», conclude il professor Mavilio.