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Diagnosi

Analisi citogenetica 1305

02/06/2018

Cos’è l’analisi citogenetica?

Chiamata anche mappa cromosomica o cariotipo, si tratta dello studio dei cromosomi delle cellule. I cromosomi racchiudono i geni che sono formati da DNA, la molecola che ospita tutti i dati utili alla “costruzione” della persona e il meccanismo dell’organismo.

Le cellule degli esseri umani sono composte da 46 cromosomi: 23 cromosomi vengono dal padre tramite lo spermatozoo, gli altri 23 dalla madre tramite la cellula uovo. Spermatozoi e cellule uovo sono cellule germinali, sono le sole a ospitare 23 cromosomi. Quando lo spermatozoo è portatore di cromosoma X, il feto sarà di sesso femminile, quando invece è portatore di cromosoma Y, sarà di sesso maschile. Il cariotipo femminile standard è quindi 46, XX; invece quello maschile 46, XY. Per esaminare i cromosomi bisogna usare tecniche di coltura, perché solamente durante la divisione cellulare si possono visualizzare.

A cosa serve l’analisi citogenica?

Lo studio citogenetico è utile per valutare che non ci siano modifiche nella quantità e/o la struttura dei cromosomi che potrebbero causare malattie distinte da ritardo mentale (es: Sindrome di Down), infertilità/sterilità (es: Sindromi di Turner e Klinefelter), ritardo psicomotorio e del linguaggio, della crescita e dello sviluppo. Anche ripetuti aborti prematuri potrebbe essere il risultato di un’alterazione cromosomica in uno dei genitori (3-5% dei casi).

Quando è consigliabile condurre l’analisi citogenetica?

Citogenetica prenatale

Si esegue in quelle gravidanze in cui si riscontra un elevato rischio di alterazioni cromosomiche del feto: la madre ha 35 anni o più (compiuti prima della nascita del figlio), un figlio colpito da alterazione nel numero dei cromosomi, genitori portatori di riarrangiamenti strutturali che non mostrano segni clinici, genitori con errori di numero dei cromosomi del sesso (es: 47,XXX; 47,XXY ), anomalie del feto evidenziate in ecografia, indicazioni derivanti da test biochimici (es: bi-test), aborti spontanei ripetuti. Durante i primi tre mesi di gravidanza (9-12 settimane), si può fare un prelievo transaddominale per la villocentesi o la amniocentesi nel secondo trimestre (15-18 settimane). Per la villocentesi vengono estratte delle cellule della placenta (villi coriali) che condividono la stessa origine (e quindi lo stesso patrimonio genetico) con quelle fetali. Per l’amniocentesi invece, vengono esaminate quelle cellule fetali presenti nel liquido amniotico (amniociti).

Citogenetica post-natale

Si esamina il cariotipo quando si ritiene che i pazienti siano affetti da sindrome cromosomica, siano genitori e familiari di soggetti con anomalie cromosomiche, genitori di soggetti malformati o con sospetta sindrome cromosomica deceduti senza diagnosi, quando si riscontri ritardo mentale e/o difetti congeniti, ritardo nella crescita, sui neonati nati morti, coppie con ripetuti aborti spontanei, infertilità maschile, donne affette da amenorrea primaria o secondaria (mancanza o arresto del ciclo mestruale).

Citogenetica su materiale abortivo

Più o meno il 15-20% del totale di gravidanze conosciute risulta in aborto spontaneo, più della metà ha un numero e/o struttura dei cromosomi modificato, che è responsabile dell’interruzione della gravidanza. Lo studio citogenetico dei tessuti abortivi ha quindi una rilevanza fondamentale per capire la ragione dell’interruzione della gravidanza, ed è di aiuto ai genitori (perché, quasi sempre l’alterazione cromosomica è solo un caso e non implica un incremento nel rischio di ripetizione dell’accaduto).

Citogenetica dei tumori

L’analisi citogenetica si può eseguire anche per esaminare i tumori, sia ematologici (es. leucemie) che solidi (es. polmone, mammella, fegato, vescica). Certe riorganizzazioni cromosomiche sono “tumore specifiche” e consentono quindi di diagnosticare correttamente quando si sospetta o esiste un dubbio clinico. Ad esempio, se viene riscontrato il cromosoma Philadelphia nell’aspirato midollare di un paziente sospetto di leucemia, questo consente di dare la diagnosi di leucemia mieloide cronica; o quando si trova la traslocazione t(X;18) in una coltura cellulare allestita da biopsia di tumore solido, consente di diagnosticare un Sarcoma Sinoviale.

Nuove tecnologie: Ibridazione in Situ Fluorescente (FISH)

L’evoluzione di tecniche avanzate dette di “Citogenetica Molecolare”, come per esempio l’Ibridazione In Situ Fluorescente (FISH), consente di effettuare studi citogenetici più completi perché permette di localizzare una sequenza specifica di DNA su preparati fissati di cromosomi, nuclei interfasici e sezioni di tessuto, conseguiti da qualsiasi tipo di materiale biologico (sangue, biopsie, liquido amniotico, gameti), che può essere fresco, crioconservato o paraffinato. La tecnica FISH si fonda sulla proprietà del DNA di denaturarsi in maniera reversibile (apertura della doppia elica) e comporta il legame tra un frammento di DNA specifico per la regione interessata – marcato con composti fluorescenti (sonda) – e la sequenza di DNA complementare del preparato che è stato fissato e montato su un vetrino portaoggetti: in questo modo, la regione cromosomica interessata è identificabile agevolmente con un microscopio a fluorescenza.

La FISH è uno strumento necessario della citogenetica tradizionale perché ha la peculiarità di avere un maggiore potere di risoluzione: permette infatti di evidenziare anomalie cromosomiche di numero e di struttura non riscontrabili mediante le tecniche di citogenetica classica e di individuare riarrangiamenti criptici, invisibili anche dopo bandeggio ad alta risoluzione. La FISH non si applica di solito durante l’esame del cariotipo, solamente in quei casi che presentano determinati sospetti diagnostici o per esaminare più a fondo specifiche anomalie citogenetiche.

Uno degli usi più nuovi si trova in campo oncologico: infatti, molto spesso, soprattutto riguardo le colture di tumori solidi, non si hanno crescita e divisione cellulare, quindi non si possono mettere in evidenza i cromosomi ed esaminarli. Oltretutto, il livello di risoluzione dello studio eseguito con la citogenetica tradizionale, non consente di individuare anomalie che potrebbero interessare solo un gene.

A cominciare dal 2000 si sono attualizzate sonde di DNA che possono distinguere anomalie specifiche ad esempio del tumore della vescica per cui si usano quattro sonde che riconoscono i cromosomi 3, 7, 17 e nove marcate con fluorocromi diversi (Multicolor FISH).

Il test non è invasivo e consente di localizzare in 48 ore cellule tumorali conseguendole da un semplice campione di urine. Il test ha un alto potere anticipativo: questo vuol dire che la FISH localizza alterazioni cromosomiche caratteristiche del tumore prima che compaiano tracce di malattia all’indagine cistoscopica o positività di altri marcatori diagnostici come le CTM (cellule tumorali maligne). Nel 2001 il test è stato confermato dalla Food and Drug Administration (FDA) americana per controllare la ciclicità della malattia in pazienti a cui fosse già stato diagnosticato il tumore e avessero affrontato un intervento di rimozione e/o terapia con BCG, e nel 2004 per la diagnosi in pazienti con ematuria.

La FISH può anche produrre informazioni sulla terapia più adatta per un determinato tipo di tumore in uno specifico paziente (Targeted Therapy). Per esempio è noto che pazienti affetti da tumore della mammella che riportano una FISH positiva per l’amplificazione di un gene chiamato HER-2/neu, la cui proteina viene esposta sulla membrana cellulare del tumore, rispondono alla terapia con un particolare farmaco, trastuzumab, un anticorpo che si lega al recettore eliminandolo (terapia immunologica). Il test è denominato PATHVYSION® ed è confermato dalla FDA. La FISH può anche essere usata per analizzare l’amplificazione di un altro gene detto EGFR, nel tumore del polmone e del colon. Anche in questo caso si possono usare altre medicine, se nel tumore si trova o no l’amplificazione del gene. In questi casi non è una terapia che usa anticorpi ma minute molecole che osteggiano la divisione cellulare (terapia biologica).

Applicando la FISH si aprono nuove possibilità anche per altri tipi di tumore come il melanoma, dove la diagnosi differenziale con il nevo displastico appare specialmente complicata se fondata unicamente su criteri morfologici.

Considerata l’elevata sensibilità, specificità e potere predittivo, la tecnica FISH appare di particolare efficacia nello studio dei tumori sia ematologici che solidi. Particolarmente, non ha unicamente valore diagnostico/prognostico ma è imprescindibile nella scelta terapeutica fondata sul profilo genomico del tumore.

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