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Cuore e sistema cardiovascolare

Fibrillazione atriale, quando si può ricorrere all’intervento di ablazione?

31/01/2018

Correggere l’aritmia con onde elettromagnetiche ad alta frequenza o con crioenergia. È ciò che fa, in estrema sintesi, l’ablazione del tessuto cardiaco, un tipo d’intervento transcatetere o chirurgico per la risoluzione della fibrillazione atriale. Ne parliamo con il dottor Andrea Davide Fumero, cardiochirurgo di Humanitas.

Atri e ventricoli fuori ritmo

La fibrillazione atriale è la forma più comune di aritmia cardiaca: il cuore si contrae in maniera irregolare, asincrona e, spesso, troppo velocemente. Questa anomalia deriva da un difetto del sistema elettrico del muscolo cardiaco che fa sì che le due camere atriali e ventricolari non lavorino in modo sincronizzato. Gli atri, cioè, si contraggono ad una frequenza superiore dei ventricoli.

Su uno dei due atri, quello di destra, si trova il punto in cui si origina il segnale elettrico: è il nodo seno-atriale. Da qui il segnale giunge all’atrio sinistro, gli atri si contraggono e il sangue viene pompato nei ventricoli. Successivamente sono i ventricoli a contrarsi e a pompare il sangue ai polmoni e a tutto l’organismo. In caso di fibrillazione atriale, però, i segnali elettrici non partono solamente dal nodo seno-atriale ma possono anche originare da un altro punto dell’atrio o essere conseguenza di circuiti di rientro.

L’alterazione del ritmo cardiaco può farsi sentire dal soggetto colpito da fibrillazione con una sensazione di cuore che batte in maniera accelerata, di “cuore in gola”. I sintomi potranno essere avvertiti episodicamente o in maniera più frequente durante gli sforzi, ovvero potranno essere del tutto assenti; infatti la fibrillazione atriale può essere anche asintomatica.

Farmaci e chirurgia

La diagnosi e il trattamento della fibrillazione atriale sono decisivi poiché questa forma di aritmia aumenta il rischio di ictus. Il sangue che si raccoglie negli atri e che il cuore non riesce a espellere del tutto può determinare la formazione di coaguli. Questi trombi possono raggiungere l’encefalo causando l’insorgenza di un ictus cerebrale.

Prevenire il rischio di coaguli e alleviare i sintomi del paziente sono i due obiettivi del trattamento della fibrillazione atriale. Questo richiede la somministrazione di farmaci e il ricorso alla cosiddetta cardioversione, una procedura con cui ripristinare il normale ritmo cardiaco. In alcuni casi, però, quando la cardioversione risulta inefficace potrà essere necessario ricorrere a un trattamento transcatetere o chirurgico: l’ablazione. «I pazienti candidabili al trattamento di ablazione sono i soggetti in fibrillazione atriale parossistica, persistente o cronica sintomatici nonostante un trattamento farmacologico ottimale per il controllo della frequenza o i pazienti che presentano un’intolleranza al trattamento antiaritmico o anticoagulante», spiega il dottor Fumero.

L’ablazione

In cosa consiste l’intervento? «Esistono due possibili procedure, una transcatetere ed una chirurgica. L’obiettivo è il ripristino del normale ritmo cardiaco, il ritmo sinusale. L’ablazione della fibrillazione atriale – continua lo specialista – consiste nell’isolamento elettrico delle vene polmonari attraverso la somministrazione di radiofrequenze o crioenergia all’interno del cuore.

La procedura transcatetere, che risulta sempre di prima scelta per chi non ha mai effettuato un trattamento ablativo, viene eseguita utilizzando un catetere che raggiunge l’endocardio tramite una puntura dei vasi femorali in regione inguinale».

«La procedura chirurgica viene usata in seconda battuta quando la fibrillazione atriale dovesse recidivare dopo il trattamento transcatetere. In questo caso l’ablazione viene eseguita attraverso un intervento mini-invasivo con una piccola incisione sul torace (minitoracotomia) ed utilizzando manipoli che erogano la radiofrequenza o la crioenergia non solo all’interno del cuore ma su tutto lo spessore del muscolo cardiaco. Inoltre la procedura chirurgica può essere effettuata a tutti i pazienti in fibrillazione atriale che per altre patologie cardiache devono già essere sottoposti ad un intervento chirurgico al cuore. All’ablazione può essere associata la chiusura dell’auricola sinistra quale ulteriore prevenzione del rischio di formazione dei trombi».

L’ablazione è risolutiva? «Alcuni parametri, quali le dimensioni degli atri, la durata della fibrillazione atriale e il tipo di fibrillazione – sottolinea il dottor Fumero – sono responsabili delle differenze nelle percentuali di successo del trattamento. L’ablazione transcatetere è risolutiva in circa il 70% dei pazienti trattati con fibrillazione atriale parossistica ed in circa il 50% dei pazienti con fibrillazione atriale persistente o cronica, ma i numeri possono essere inferiori se gli atri sono particolarmente dilatati o se la fibrillazione atriale è presente da diversi anni».

«Ovviamente la procedura transcatetere può essere ripetuta più volte. Normalmente però, quando dopo 2-3 procedure percutanee il problema persiste, si può intervenire con il trattamento chirurgico con una percentuale di successo superiore al 90% per la fibrillazione atriale parossistica e superiore all’80% circa per la fibrillazione atriale persistente o cronica. I migliori risultati della chirurgia sono però frutto anche di una maggiore invasività».

All’intervento sono associati alcuni rischi: «Le complicanze di un trattamento ablativo (tutte con percentuali <1%) possono essere la comparsa di un attacco ischemico transitorio (TIA) o ictus, il tamponamento cardiaco, e la possibile necessità d’impianto di un pace-maker. La stenosi delle vene polmonari e le lesioni esofagee sono complicanze molto rare descritte solo in caso di trattamento transcatetere», conclude lo specialista.

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