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Cuore e sistema cardiovascolare

Carenza di ferro, aumenta il rischio cardiovascolare?

11/09/2017

Che relazione c’è tra la salute cardiovascolare e i livelli di ferro nell’organismo? Chi presenta una carenza di questo prezioso minerale ha un maggior rischio cardiovascolare? Le evidenze prodotte dalla ricerca scientifica non sono ancora definitive e hanno fornito risultati contrastanti. Una recente ricerca dell’Imperial College London e University College London ha associato a maggiori livelli di ferro un ridotto rischio di malattia coronarica. Ne parliamo con la dottoressa Barbara Sarina, ematologa di Humanitas.

Uno studio del 1999 pubblicato su Circulation ha sottolineato come non ci fossero forti associazioni tra l’incidenza delle malattie cardiovascolari e i livelli di ferro nell’organismo; altre ricerche avevano visto come maggiori quantità di ferro potessero avere un effetto protettivo sulla salute del cuore, secondo altri studi, il rischio cardiovascolare poteva invece aumentare.

(Per approfondire leggi qui: Anemia da carenza di ferro, acido folico per evitarla dopo il parto)

Il team dei due centri di ricerca inglesi ha fatto ricorso alla genetica per valutare questa associazione: ha individuato una variazione del DNA su 48 mila individui associabile a maggiori o minori livelli di ferro. Ha poi rintracciato questa variazione in oltre 50 mila pazienti con malattia coronarica. È emerso così come i pazienti nei quali questa variazione del DNA era legata a maggiori livelli di ferro, il rischio di presentare la malattia coronarica era più basso.

Pertanto – suggeriscono i ricercatori nello studio pubblicato su Arteriosclerosis, Thrombosis, and Vascular Biology – con più ferro si ridurrebbe il rischio di sviluppare la malattia coronarica. Il dato non è però conclusivo: «Sul ruolo protettivo di più elevati valori di ferro nello sviluppo di malattie cardiovascolari, credo si debba attendere ulteriore conferma», sottolinea la dottoressa Sarina.

Più chiaro invece il rapporto tra anemia e salute cardiovascolare

«Come per tutte le anemie, qualsiasi ne sia la causa, il ridotto apporto di ossigeno, dovuto ai bassi valori di emoglobina, “affatica” il cuore», spiega la specialista. «Quindi nei pazienti cardiopatici si tende a mantenere l’emoglobina a livelli superiori a 9 o 10 proprio per evitare un sovraccarico di lavoro al cuore. Il ferro interviene non solo nella sintesi dell’emoglobina ma gioca un ruolo importante anche in altri processi e lo dimostrano i numerosi sintomi legati alla carenza, come perdita capelli e irritabilità, ad esempio. Pertanto – conclude – la carenza di ferro deve essere sempre corretta».

(Per approfondire leggi qui: “Anemia, carne rossa è l’unica vera fonte di ferro”, vero o falso?)

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