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Cervello, con l’allenamento tutti possono avere una super memoria

29/03/2017

Una memoria da elefanti non è questione di talento ma di apprendimento. Basta utilizzare la tecnica giusta, come la Tecnica dei loci, uno strumento per migliorare le capacità mnemoniche impiegato, ad esempio, da persone realmente esistite o personaggi di finzione come Cicerone o Sherlock Holmes. Una dimostrazione arriva da uno studio pubblicato su Neuron condotto su persone dalla memoria normale trasformati in piccoli “cervelloni”.

Il team della Radboud University Medical Center di Nijmegen (Olanda) ha prima preso in esame 23 campioni dalla super memoria e 23 persone con età, condizioni di salute e intelligenza simili ma con abilità mnemoniche normali. Per “prendere le misure” del cervello è stata utilizzata la risonanza magnetica strutturale mentre quella funzionale è stata impiegata per “mappare” l’organo e guardare alle connessioni tra le diverse aree che lo compongono. Con sorpresa i ricercatori hanno visto che anatomicamente i cervelli dei due gruppi non erano diversi mentre le differenze sono emerse nell’analisi delle connessioni cerebrali: ne sono state rilevate ben 2500 e, in particolare, 25 rendevano il cervello dei campioni diverso da quello delle persone comuni.

Per valutare invece in che modo un allenamento per una memoria più forte potesse incidere sul cervello, sono stati reclutati 51 individui. I partecipanti sono stati divisi in tre gruppi e prima e dopo il training una risonanza ha “fotografato” il loro cervello. Il primo gruppo è stato sottoposto a una forma di allenamento per la memoria a breve termine, simile al gioco con le carte capovolte in cui bisogna accoppiare quelle con la stessa figura girandole una per volta. Al secondo invece è stata insegnata la Tecnica dei loci, uno strumento utilizzato da tantissimi campioni di memoria per ricordare delle liste. La tecnica consiste nell’accoppiare i termini che le compongono con dei luoghi a sé familiari, ad esempio casa propria, da percorrere idealmente per tenere a mente la lista. Il terzo gruppo non ha svolto alcun allenamento.

(Per approfondire leggi qui: Menopausa, che impatto hanno le variazioni ormonali su memoria e cervello?)

Dopo 40 giorni di sessioni di allenamento della durata di 30 minuti, le prestazioni del primo gruppo erano nettamente migliori: in media, prima del training, ricordavano tra 26 e 30 parole, dopo almeno 35 in più, in media, mentre il secondo 11 e il terzo 7. Quattro mesi dopo, però, solo questi continuavano a mostrare sostanziali vantaggi ricordando ancora oltre 22 parole rispetto a prima dell’allenamento. Le immagini dei loro cervelli, inoltre, mostravano funzioni cerebrali alterate e più simili a quelle dei campioni mondiali di memoria.

Le connessioni differenti erano concentrate nella corteccia prefrontale mediale e in quella dorsale laterale destra

«La corteccia prefrontale è la parte anteriore del lobo frontale del cervello, situata davanti alla corteccia motoria primaria e alla corteccia premotoria. La regione è implicata nella pianificazione dei comportamenti cognitivi complessi, nell’espressione della personalità, nella presa delle decisioni e nella moderazione della condotta sociale. L’attività basilare di questa regione è considerata la guida dei pensieri e delle azioni in accordo ai propri obiettivi», aggiunge la dottoressa Elisabetta Menna,ricercatrice di Humanitas e dell’Istituto di Neuroscienze del Cnr. «La distruzione dei due terzi anteriori crea danni a concentrazione, orientamento, abilità astratte, senso di giudizio e alla soluzione di problemi di abilità; distruggere invece il lobo orbitale (frontale) porta alla conduzione di condotte sociali inappropriate. La corteccia prefrontale (CPF) è l’area che maggiormente differisce fra l’uomo e i primati non umani, suggerendo che sia responsabile delle funzioni cognitive superiori».

«In particolare, la corteccia frontale mediale è responsabile della flessibilità del comportamento e del controllo cognitivo su di esso. L’individuazione di conseguenze sfavorevoli, di errori di risposta, di risposte conflittuali e di incertezze decisionali, attivano zone nella corteccia frontale mediale ed evocano attività neuronale in un’ampia parte della corteccia frontale mediale posteriore».

«La corteccia prefrontale dorsolaterale è invece primariamente coinvolta nella memoria di lavoro. Nell’uomo si attiva durante lo svolgimento di compiti che implicano la memoria di lavoro (ad esempio quando leggiamo un numero di telefono e dobbiamo tenerlo in mente quei pochi secondi necessari mentre lo digitiamo sulla tastiera). Inoltre la corteccia prefrontale viene reclutata per lo svolgimento di compiti di riconoscimento visivo complessi, quali il riconoscimento di oggetti visti da una prospettiva inusuale; il reclutamento delle aree prefrontali, in aggiunta a quello delle aree associative posteriori, consentirebbe processi di rotazione mentale, che permettono il riconoscimento dell’oggetto in base all’esperienza di esso fatta sotto una prospettiva canonica. La CPF ha anche un ruolo nel recupero delle tracce di memoria dichiarativa formatesi da lungo tempo: la CPF si attiva infatti durante la codifica e il recupero di memorie episodiche».

(Per approfondire leggi qui: Terza età e memoria, 4 consigli per non perdere colpi)

«Invece la porzione ventromediale della corteccia prefrontale è coinvolta nella regolazione del comportamento sociale: individui ben inseriti nella società diventano incapaci di osservare le regole sociali e di decidere in maniera per loro vantaggiosa mentre mantengono prestazioni normali in compiti di memoria di linguaggio e di attenzione».

La memoria è dunque questione di allenamento?

«Assolutamente sì, la memoria – e l’apprendimento che si basa anch’esso sulla memoria – sono la massima espressione dei fenomeni di plasticità neuronale e sinaptica. Nonostante esista una finestra temporale nella nostra vita in cui i fenomeni di plasticità sono massimi (età giovanile), il cervello mantiene un notevole grado di plasticità anche da adulto e anche durante la terza età. Soprattutto, la plasticità può essere sempre allenata e migliorata, in qualsiasi momento della vita, non parlo solo di memoria ma anche imparare una nuova attività a qualsiasi età: una nuova lingua, un nuovo strumento musicale o tecnologico. Una volta apprese nuove strategie gli effetti benefici restano per un periodo abbastanza lungo ma poi tendono ad affievolirsi se non vengono ulteriormente stimolati. C’è un motto americano che dice “use or lose it”, usalo o perdilo, un po’ come per i muscoli a tutte le età della vita!», conclude la specialista.

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