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Relazione medico-paziente, l'importanza del nome

16/02/2015

Comunicare il proprio nome al paziente, presentandosi magari con tanto di stretta di mano, è senza dubbio un segno di buona educazione e può certamente aiutare a instaurare la relazione medico-paziente, «ma se guardo la cosa con gli occhi di un paziente non è solo conoscendo il nome del medico che ho davanti che sentirò di potermi affidare alle sue cure. È certamente una buona iniziativa quella di stimolare i medici a presentarsi con nome e cognome ai propri assistiti, ma è chiaro che una relazione con il paziente deve andare oltre e contemplare la capacità degli specialisti di dare supporto e sostegno e di essere empatici. Conoscere il nome del medico può certamente aiutare una persona a non sentirsi “solo” un corpo malato, ma per costruire una relazione di fiducia è necessario che il medico lavori sul proprio modo di porsi al paziente e sull’empatia. Presentarsi, ripeto, può aiutare, ma è solo l’inizio di un percorso da costruire».

Un rapporto medico-paziente più umano

Emanuela Mencaglia, psicoterapeuta nell’Unità Operativa di Oncologia Medica ed Ematologia dell’Istituto Clinico Humanitas di Rozzano (Milano) commenta così la nascita dell’iniziativa “Slow medicine”, versione italiana del movimento inglese “Hellomynameis” nato alcuni mesi fa per sensibilizzare i medici a presentarsi ai pazienti con lo scopo di facilitare la creazione di un rapporto medico-paziente più umano e coinvolgente di quello a cui, purtroppo, ci siamo ormai tristemente abituati.

L’iniziativa in Inghilterra è stata lanciata da Kate Granger, una giovane dottoressa trentunenne che si è ammalata di cancro che, dopo aver incontrato colleghi che – racconta – non solo non le dicevano come si chiamavano ma non la guardavano neanche negli occhi per dirle che il tumore si stava diffondendo, ha creato l’hashtag #hellomynameis, da cui è poi nato il nome del movimento: nel giro di qualche mese ben 400mila dipendenti dei servizi sanitari inglese, scozzese e gallese hanno aderito, postando una propria foto su Twitter con il loro nome scritto su un cartello. Obiettivo dell’iniziativa, cercare di promuovere “cure sobrie, rispettose e giuste”.

«È certamente una buona idea ricordare ai medici che dentro al camice c’è una persona ed è quella con cui il paziente scambierà le sue paure, i suoi dubbi e le sue necessità – conclude la dottoressa Mencaglia –. È fondamentale trovare il tempo per parlare con il paziente, per farlo esprimere, così come è importante trovare di volta in volta le parole giuste e il tempo per rassicurarlo, oltre che essere in grado di prescrive la migliore cura per lui».

 

Commento a cura della dottoressa Emanuela Mencaglia

Psicologa del Cancer Center di Humanitas Milano

Emanuela Mencaglia, psicologa Humanitas Milano

 

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