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Cuore e sistema cardiovascolare

Trombosi, quali sono i segnali da non sottovalutare?

06/03/2018

Poco conosciuta ma potenzialmente letale. È la trombosi, ovvero il processo secondario alla formazione di coaguli di sangue, cioè i trombi, nei vasi sanguigni. I coaguli, formandosi all’interno di vasi integri, ostacolano la normale circolazione sanguigna. Possono anche frammentarsi e raggiungere, sotto forma di emboli, diversi distretti in tutto l’organismo causando patologie come l’infarto del miocardio, lo stroke (l’infarto del cervello) o l’embolia polmonare. Secondo un recente sondaggio dell’Associazione Lotta alla Trombosi e alle Malattie Cardiovascolari (ALT), le malattie da trombosi sono note a circa il 30% degli italiani. Saper riconoscere i fattori di rischio è fondamentale così come i sintomi della trombosi venosa: «È importante coglierli in tempo: più è precoce la diagnosi e più tempestivamente viene impostata una adeguata terapia e tanto più efficace è il trattamento dell’evento acuto e delle complicanze più gravi e potenzialmente letali come l’embolia polmonare nel caso di un paziente con una trombosi venosa», sottolinea il dottor Corrado Lodigiani, Responsabile del Centro Trombosi e Malattie Emorragiche di Humanitas.

I campanelli d’allarme

I trombi si possono formare in un’arteria (trombosi arteriosa o infarto) o in una vena. Quando si formano in una vena profonda si parla di trombosi venosa profonda, quando invece è colpito una vaso del circolo venoso superficiale si parla di tromboflebite o più appropriatamente di trombosi venosa superficiale. «Sono colpiti prevalentemente gli arti inferiori per una questione legata alla stasi e alla posizione eretta sebbene qualunque vena possa essere interessata, anche le vene dell’encefalo o dell’addome, dell’occhio », aggiunge il dottor Lodigiani.

Il tromboembolismo venoso è spesso subdolo e poco sintomatico: «Spesso pertanto non viene riconosciuto precocemente e solo quando si sono già verificate le complicanze. In altri casi invece compaiono sintomi più chiari e specifici. Tra questi – continua lo specialista – ci sono l’aumento di volume, la comparsa di dolore ma anche di arrossamento e una sensazione di calore cutaneo a carico dell’arto colpito. L’associazione di tutti questi sintomi deve far subito pensare ad una trombosi venosa, che deve essere rapidamente diagnosticata o esclusa mediante un esame ecografico».

Dal trombo venoso infatti si possono anche staccare degli emboli, ovvero dei frammenti che possono raggiungere il polmone. «Il sintomo principale dell’embolia polmonare è una improvvisa dispnea, ovvero la difficoltà a respirare, in particolare sotto sforzo (ad esempio quando si cammina o si corre) ma anche a riposo. Il dolore toracico è un altro sintomo mentre la tosse con espettorato di sangue è meno frequente ma comunque tipico dell’embolia polmonare. Infine si può avvertire un’aritmia, che può essere così grave da portare a morte improvvisa».

Perché si formano i trombi

Ipertensione, ipercolesterolemia, sovrappeso/obesità e dipendenza dal fumo di sigaretta, cioè i cosiddetti fattori di rischio cardiovascolari di tipo ambientale sono invece associati soprattutto all’aterosclerosi, ovvero alla formazione di depositi di placca ateromasica lungo le pareti delle nostre arterie. In corrispondenza di queste placche possono formarsi i coaguli di sangue che provocano l’occlusione acuta del vaso colpito e quindi una trombosi: l’aterosclerosi è il principale meccanismo della trombosi arteriosa.

La tendenza a formare coaguli di sangue nel sistema venoso può essere invece correlata ad una condizione predisponente di tipo genetico, che in genere determina una ipercoagulabilità, cioè una tendenza del sangue a coagulare di più. Nella maggior parte dei casi, però, le probabilità di eventi trombotici, anche nei soggetti geneticamente predisposti, aumentano solo se si è in presenza di altri fattori di rischio. Tra questi ce ne sono di modificabili e associati allo stile di vita. La sedentarietà, per esempio, oppure una dieta scorretta che comporti l’accumulo di peso corporeo in eccesso o l’aumento dei valori di colesterolo nel sangue.

Tra le altre situazioni o condizioni associate alla trombosi venosa ci sono l’immobilità prolungata e forzata, ad esempio per un ricovero in ospedale, l’aver subito un intervento chirurgico, la gravidanza, la presenza di una malattia infiammatoria cronica, un tumore. Anche l’assunzione di contraccettivi orali è associato a un maggior rischio di trombosi: «Questi riducono i livelli di proteine che mantengono il sangue più fluido (proteine anticoagulanti). L’assunzione di contraccettivi da parte di donne con predisposizione genetica alla trombosi, che siano obese o in sovrappeso e dipendenti dal fumo di sigaretta, le espone ad un rischio ancora maggiore», spiega l’esperto.

Sono le formulazioni di ultima generazione quelle correlate a un rischio più elevato: «Rispetto alle precedenti, quelle di terza e quarta generazione contengono un maggior livello di estrogeni e progestinici e tale rischio non è ridotto nelle formulazioni transdermiche (cerotti)».

Come comportarsi allora? «È generalmente indicato utilizzare con cautela i contraccettivi se le donne sono fumatrici, obese/sovrappeso e soprattutto se hanno una familiarità per eventi trombotici; solo per le donne con familiarità o che hanno già avuto eventi vascolari, e non in maniera indiscriminata, è opportuno inoltre eseguire dei test (screening di trombofilia) per documentare la presenza di alterazioni che possano pesare sul rischio di eventi trombotici, prima di assumere dei contraccettivi orali», conclude il dottor Lodigiani.

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