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Tumore alla prostata, le novità su diagnosi e test del PSA

13/11/2017

L’utilizzo dell’esame del PSA all’interno di un programma di screening per il tumore alla prostata nella popolazione adulta è una questione dibattuta. Risalgono al 2009 due grandi studi che hanno dato risultati contrastanti sull’efficacia del test nel ridurre la mortalità specifica per carcinoma prostatico. Ora un recente studio rilancia la questione indicando l’utilità dell’esame per contrastare gli effetti più nefasti del tumore. Intanto – come ricorda il dottor Nicolò Buffi, urologo di Humanitas – la ricerca sta andando avanti affiancando al PSA nuovi potenti strumenti per la diagnosi precoce.

Il test

PSA sta per Prostatic Specific Antigen, una proteina specifica prodotta dalle cellule della prostata. L’esame del PSA su un campione di sangue ne misura i livelli: tendenzialmente negli uomini con tumore prostatico i valori di questo antigene sono più elevati. Nel 2009 sono usciti su New England Journal of Medicine due grandi studi multicentro e randomizzati prodotti uno negli Stati Uniti (lo studio PLCO-Prostate, Lung, Colorectal, and Ovarian Cancer Screening Trial) e uno in Europa, (l’ERSPC-European Randomized Study of Screening for Prostate Cancer). Tuttavia solo quest’ultimo ha concluso nel senso di una riduzione della mortalità da tumore prostatico per i pazienti sottoposti a esame del PSA.

 

 

Di recente ricercatori della University of Michigan e del National Cancer Institute (USA) hanno pubblicato su Annals of Internal Medicine uno studio che ha rivisto i dati di queste due ricerche. Gli autori hanno considerato le differenze nei protocolli seguiti dalle precedenti ricerche e hanno concluso indicando una riduzione della mortalità grazie al PSA compresa fra il 25% e il 32%.

In conclusione il team suggerisce una revisione delle linee guida relative alla diagnosi del tumore prostatico alla luce dei risultati di questa ricerca: «Il test del PSA resta tra i principali esami per rilevare la presenza di un tumore alla prostata, tuttora validato dalla Società europea di Urologia», ricorda il dottor Buffi. «Il suo utilizzo però è accompagnato da una scala di grigi riguardo i suoi risultati che richiedono l’intervento dello specialista per interpretare i risultati e valutare la necessità di fare ulteriori esami. Ancora non è previsto un suo utilizzo di routine».

Oltre il PSA

La questione dello screening con il PSA è dunque ancora controversa. In ogni caso, negli ultimi anni, sono state introdotte importanti novità che potrebbero superare la centralità del PSA: «Le principali innovazioni sono la risonanza multiparametrica prostatica e gli studi sull’associazione con il gene BRCA2, quindi sulla familiarità per tumore prostatico e tumore della mammella», spiega lo specialista.

«Sono importanti passi avanti sia sul fronte della comprensione del profilo genetico del rischio di sviluppare il tumore che sul fronte radiologico. E sono tutti strumenti che permetteranno di ottenere maggiori informazioni sul tumore alla prostata e sul trattamento più adeguato e tempestivo al di là dell’esame del PSA», conclude il dottor Buffi.

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